lunedì 2 marzo 2015

Arrivederci piccoli lettori!

Ciao a tutti Piccoli Lettori!

Anche quest'anno il ciclo di incontri è giunto al termine, non senza un po' di dispiacere da parte delle vostre "maestre" che durante questi otto incontri vi hanno guidato nel mondo della mitologia e si sono affezionate tanto a voi. Per il secondo anno di fila il progetto "Piccoli Lettori Crescono" si è svolto regolarmente e ha riscosso abbastanza successo presso voi bambini; ne siamo molto felici! Per noi volontari del comune di Racconigi sono stati due piccoli grandi successi! Quando abbiamo stilato il progetto di questi incontri, a ottobre 2013 e settembre 2014 non pensavamo certo che a voi Piccoli questo ciclo di lezioni sarebbe piaciuto così tanto e che avreste partecipato così numerosi. Siamo stati ben lieti, infatti, di raccogliere le 120 adesioni quest'anno, e di accogliere una media di 40-50 Piccoli lettori ad ogni incontro.
L'esperienza che abbiamo vissuto insieme è stata estremamente formativa... non per voi Piccoli Lettori, ma per noi maestre! E' stato molto bello riscoprire insieme il mondo delle fiabe e degli antichi miti e insieme il Vostro mondo di bambini. Siamo stati molto felici di vedervi arrivare ogni sabato armati di entusiamo e di voglia di scoprire qualcosa di nuovo, voglia di ascoltarci, ma soprattutto di stare insieme, di fare un percorso insieme. Un percorso che certamente ci ha arricchito tutti, Piccoli Lettori e Grandi Lettori.
Speriamo che tutto il nostro lavoro sia stato da voi apprezzato e che vi siate divertiti almeno un pochino! Ma soprattutto speriamo di rivedervi il prossimo anno.. noi ci impegneremo sicuramente per reiterare il progetto e rinnovarlo con contenuti e modalità sempre nuovi. A proposito... noi volontari del comune di Racconigi saremmo ben contenti di sapere che cosa pensate di Piccoli Lettori, che cosa vi è piaciuto, e anche che cosa non vi è piaciuto, cosa possiamo riproporre nei prossimi cicli e che cosa invece andrebbe migliorato. Potete scriverci cosa ne pensate all'indirizzo e-mail piccolilettori.racconigi@gmail.com oppure lasciare un commento a qualunque post di questo blog. Leggeremo tutto quello che avrete da dirci e risponderemo sicuramente!

Nell'attesa delle vostre e-mail, vi lasciamo il programma completo suddiviso lezione per lezione su questo Blog (che continuerà ad essere aggiornato, non dimenticatevi l'indirizzo perché il prossimo anno continueremo a utilizzarlo!), potete rileggere i brani che abbiamo letto insieme durante i nostri incontri, oppure cercare letture nuove sull'argomento.. noi continueremo a proporvene ancora nei prossimi mesi.
infine vi consiglio di "ripassare" gli argomenti di ogni incontro perché saranno oggetto del Grande Gioco della festa finale! Quindi, mi raccomando, rileggete tutto bene!!!

In attesa di rivederci finalmente alla Festa dei Piccoli Lettori (per sapere QUANDO, COME e DOVE si svolgerà, fate affidamento alla sezione NEWS E NOTIZIE di questo stesso sito), vi salutiamo con un grande abbraccio!
Ciao Piccoli Lettori!
Non smettete MAI di leggere!

Serena
Giada
Chiara L.
Giulio
Chiara C.
(e tutti gli altri volontari che ci hanno assistito in questo bel percorso)


domenica 1 marzo 2015

Incontro VIII - Mitologia delle civiltà precolombiane - Racconto



L’origine del sole e della luna secondo un antico mito brasiliano
Una volta, tanto tempo fa, Sole se ne andò a caccia nella foresta e trovò due pappagalli così piccoli che non sapevano neanche volare. Le loro piume verdi erano talmente belle che il cacciatore decise di portarseli a casa e di regalarne uno a Luna, il suo compagno e amico. Ogni giorno Luna e Sole davano da mangiare ai pappagallini e insegnavano loro una parola nuova, finché gli uccelli diventarono grandi, forti e capaci di parlare come una persona. Un giorno, un pappagallo disse all’altro: «Sole e Luna mi fanno davvero pena. Tornano a casa stanchi e non hanno nessuno che pesti il mais per loro.» Ed ecco, un attimo dopo i due pappagalli si erano trasformati in ragazze dai lunghi capelli neri: una preparava da mangiare e l’altra stava di guardia, per paura che arrivasse qualcuno e le vedesse in quel nuovo aspetto. Verso sera Luna e Sole tornarono dalla caccia, e mentre si avvicinavano a casa sentirono uno strano rumore: pum-pum, pum-pum...Sole appoggiò l’orecchio a terra e disse:«Forse sono i passi di un animale che attraversa la foresta!» Il rumore diventava sempre più forte, sempre più forte, e quando i due cacciatori furono quasi sulla porta di casa, Luna esclamò: «Non è un animale! Sembra che qualcuno stia pestando il mais con forza, come se avesse una gran fretta.»«Hai ragione» disse Sole «in casa dev’esserci qualcuno, andiamo a vedere.» Ma nel momento stesso in cui entrarono, il rumore cessò: la capanna era vuota, a parte i due pappagalli appollaiati su un trespolo. «Guarda!» disse Sole. «Per terra ci sono impronte di piedi, ma chi può averle lasciate?» «E il mais è pronto» aggiunse Luna. «Chi lo avrà pestato? Qui ci sono solo i pappagalli, e, anche se volessero, non sarebbero capaci di fare una cosa simile.» Era proprio un mistero! Per quanto ci pensassero, Sole e Luna non riuscivano a trovare una soluzione. Il giorno dopo fu lo stesso: prima sentirono il rumore, poi trovarono le impronte di passi e il mais pestato. E intorno, nessuno. Allora decisero che avrebbero fatto finta di andare a caccia e si sarebbero nascosti accanto alle due porte di casa. Così, appena il solito pum, pum si fosse fatto sentire, si sarebbero precipitati dentro per sorprendere i misteriosi visitatori. E infatti, dopo un po’, ecco il rumore del bastone che batteva il mais, ecco voci e risate di ragazze! Sole e Luna entrarono di corsa, uno da una porta e uno dall’altra. In casa c’erano due bellissime ragazze dai capelli lucenti, che vedendosi scoperte abbassarono gli occhi.«Ecco chi ci preparava da mangiare! » disse Sole, rivolto alla più graziosa. «Ma chi siete, e da dove venite?»«Siamo i pappagalli, non l’hai ancora capito?» rispose la ragazza. «Ogni mattina ci trasformiamo in esseri umani e pestiamo il vostro mais, visto che non c’è una moglie a farlo per voi.»«Una moglie? Che buona idea!» disse Luna. «Non vi piacerebbe sposarci?» Così Sole e Luna si sposarono con le ragazze-uccello, e siccome la casa era troppo piccola per tutti e quattro, decisero che Sole e sua moglie l’avrebbero usata di notte, mentre gli altri due ci avrebbero vissuto durante il giorno.Ed è per questo che non li si vede mai insieme: perché quando uno se ne sta a casa l’altro va in giro.

Incontro VIII - Mitologia delle civiltà precolombiane



Siamo nell’America centrale, all’interno di un grande territorio che comprende l’intero Guatemala, una parte del Salvador occidentale, parte dell’Hondura e gli stati messicani dello Yucatan, del Campehe, di Chiapas, di tabasco. Qui sono vissuti i Maya e qui nei monumentali resti, il più delle volte celati dall foreste, è possibile rivivere la loro storia. La civiltà Maya, giunta la popolazione in queste terre già nel terzo millennio a.C., si sviluppa nei secoli e vive il suo massimo splendore tra il 300 e il 900 d.C., proprio mentre l’Europa attraversa i cosiddetti secoli bui del medioevo. Dopo la conquista da parte di un popolo straniero, i maya riescono a recuperare la propria indipendenza, ma in tribù divise: I Quiché e i Cakchiquel, poco prima che i conquistadores europei facciano la loro comparsa in quei territori.
I maya avevano elaborato il Popul Vhul, un testo per lungo tempo tramandato oralmente, poi trascritto, che racconta le origini del loro popolo e più ingenerale l’origine del mondo. L’opera è assai complessa e viene ancora oggi tramandata di generazione in generazione. La trascrizione si deve ad un saggio quiché che utilizzò la sua lingua, servendosi tuttavia dei caratteri latini. Oltre ai maya, anche altri gruppi sociali, che avevano messo a punto sistemi di relazione meno complessi, popolavano il centro e il Sud America: sono quelli che vivevano e vivono tuttora nella foresta amazzonica, nella cordigliera delle Ande, nella Terra del Fuoco.

Il mito maya della creazione del mondo e dell'uomo
In  un antico popolo  che vive  nell'America centrale discendente dagli antichi Maya, si narra che all'alba del tempo tutto era immobile e silenzioso, la distesa  del cielo era vuota: non c'era ancora nessuno. Non c'era niente, niente che stesse in piedi. Esisteva solo il cielo e il mare calmo. Nell'acqua, circondati dal chiarore e nascosti sotto piume verdi e azzurre, c'erano il Creatore, che si chiamava Tepeu, il Formatore, Gucumatz  e i Progenitori. Questi dei una notte si riunirono, parlarono e decisero che quando fosse spuntata l'alba avrebbero cominciato la creazione del mondo. Decisero cioè di formare il mondo, di far nascere la vita, di far crescere alberi e cespugli e infine di dar vita all'uomo. Questo venne deciso dagli dei nelle tenebre della notte. “Facciamo così, dissero, riempiamo il vuoto, ritiriamo quest'acqua e facciamo sorgere  la terra! E ora si faccia chiaro, l'alba illumini il cielo e la terra!”. 
“Terra!” Dissero gli dei e in un attimo la terra fu fatta. Solamente per un prodigio, per arte magica, si compì la formazione delle montagne e  delle valli e in un attimo, dalla superficie della terra, scaturirono insieme boschi di cipressi e di pini. Quando apparvero le alte montagne, le acque si divisero e i ruscelli cominciarono a scorrere liberamente fra le colline. Fatto questo, gli dei crearono gli animali piccoli della foresta, i leoni, le tigri, i serpenti. Poi vennero creati i cervi e gli uccelli. “Voi cervi starete fra le erbe, camminerete su quattro piedi e dormirete nelle pianure lungo i  fiumi”, ordinarono gli dei. Agli uccelli dissero: “Voi uccelli abiterete sugli alberi e sui cespugli, lì farete i vostri nidi e vi muoverete”. Compiuta la creazione di tutti i quadrupedi e di tutti gli uccelli gli dei dissero loro: “Parlate, adesso, gridate, chiamate! Dite i nostri nomi, lodateci, invocateci!”. Ma gli dei non riuscirono a ottenere che gli animali parlassero e che li ringraziassero per averli creati: strillavano, invece, ruggivano, gracchiavano, fischiavano, muggivano, ciascuno con il loro linguaggio che era incomprensibile. Quando gli dei videro che non era possibile farli parlare tornarono dagli animali e dissero loro: “Visto che non siamo riusciti a farvi parlare, vi cambieremo il vostro cibo, il vostro pascolo, la vostra casa e i vostri nidi saranno i boschi e le montagne. Non ci avete adorati né ci avete invocati, perciò le vostre carni serviranno da cibo a altri animali. Creeremo altri esseri che ci ubbidiranno e ci adoreranno”.
“È vicino il tempo della luce, dobbiamo dare vita a qualcuno che sappia pronunciare il nostro nome” dissero Hurkam, Cuore del Cielo, e il dio Tepeu Gucumatz. Con acqua e argilla modellarono gli uomini, ma questi erano molli e informi, con la testa ciondolante e privi di forze nelle braccia e nelle gambe; parlavano, sì, ma non pensavano e soprattutto non sapevano invocare gli dei. Subito allora li sciolsero nelle acque del mare e cercarono una soluzione migliore. Si rivolsero a Ixpiyacoc, il dio sole opossum, e a Ixmucane, il dio sole coyote che così si pronunciarono: “è bene che gli uomini siano intagliati nel legno, più forte e resistente dell’argilla”. Così fu fatto, e gli uomini di legno popolarono il mondo, riproducendosi, ma nemmeno loro seppero pronunciare il nome degli dei, perchè anche loro parlavano ma non pensavano, avevano il corpo, ma non avevano né sangue né cuore. Huraca, Cuore del Cielo, fece allora sollevare le acque che inondarono la terra su cui gli uomini vivevano. Il cielo si oscurò, piovve a lungo e tutti gli esseri umani morirono. Allora la volpe, il coyote, il pappagallo e il corvo condussero gli dei a Pan Paxil, il paese più ricco della terra, dove crescevano il mais giallo e il mais bianco. Tapeu Gucumatz modellò così quattro uomini nuovi con il mais e con il mais fece la loro carne e il loro sangue; Ixumane preparò pozioni magiche e le mescolò al mais per aumentare la forza dei muscoli delle loro braccia e delle loro gambe. Belli e ben fatti, ora gli uomini parlavano e pensavano, vedevano e udivano non solo ciò che era vicino, ma anche tutto ciò che era lontano sulla terra, nel cielo e nelle acque e con queste parole si rivolsero agli dei: “Lode agli dei che ci hanno dato occhi per vedere tutto, orecchie per ubire, bocca per parlare!”.

Incontro VII - Mitologia Nativo Americana



Che cos'è il Grande Spirito?
Nonostante il credo religioso o spirituale varino molto da tribù a tribù alcuni dei concetti base esistono nella gran parte di esse: esisteva un "Grande Spirito" che rappresenta una grande potenza che sosteneva tutta la creazione. Egli non possiede un carattere né una forma personale, è un'entità che raccoglie l'essenza di tutte le cose esistenti. Per gli Indiani d'America tutte le forme di vita interagiscono fra di loro e dipendono le une dalle altre. Quest'armonia deve essere preservata dagli esseri umani, che devono trovare la loro via attraverso sogni, visioni o segni.
Il Grande Spirito (o Grande Mistero) non è un'entità divina che manipola la realtà e le cose secondo il proprio volere, ma è un'energia onnicomprensiva e permanente, che lega a sé tutte le cose esistenti. Più che al Dio Giudeo-Cristiano, rappresenta qualcosa di più simile al Tao cinese.
La creazione fra i Nativi Americani ~ La Grande Madre
Le popolazioni nativo americane condividevano la radicata consapevolezza di essere parte integrante, ma non fondamentale, del mondo (non esiste presso i nativi americani l’arroganza di delegare all’uomo il posto preponderante nel creato). Ed è in questo contesto di grande rispetto per la vita e per tutte le sue manifestazioni che si sviluppò l'idea di una Terra Madre, in grado di generare non solo gli uomini, ma tutte le creature viventi.
Nei miti proposti, appartenenti a due popolazioni differenti, il concetto di Grande Madre è rielaborato in maniera piuttosto simile. Nel mito Figli della Terra, ideato dagli Apache Jicarilla, la Grande Madre è identificata con la Terra stessa, che, dopo essere emersa (secondo gli Apache il mondo in principio era ricoperto d'acqua), ha partorito tutti gli esseri viventi, fino a quel momento rimasti al suo interno. Al contrario, nel mito della genesi narrato dagli Okanogan, Dal Corpo di Una Donna, gli esseri viventi sono nati dalla carne, dal corpo voluttuoso di una donna, la Terra.

-          BRANO DA LEGGERE: Figli della Terra - (Apache Jicarilla)
Al principio il mondo era interamente coperto d'acqua. Non vi era terra da nessuna parte; non pianure nè valli nè colline nè monti. Solo un'immensa distesa d'acqua. Era davvero un luogo solitario e desolato, immerso nel buoi più assoluto. Non c'era ancora la luce ma ovunque regnava una fitta oscurità. Allora, al tempo delle origini, tutti gli esseri viventi erano raccolti nel sottosuolo, in un mondo sotterraneo. Era quello il luogo dal quale ebbe inizio l'emersione. In quel mondo sotterraneo tutte le cose avevano vita; gli animali potevano parlare come esseri umani e anche gli alberi possedevano la virtù della parola. Proprio là, in quel mondo buio, in quella intensa oscurità che dominava il primordiale universo sotterraneo, vivevano alle origini gli Apache Jicarilla. Essi non sopportavano quel buio perenne e cercavano di farsi luce bruciando piume d'aquila. Usando le piume come fossero torce, i Jicarilla potevano vincere le tenebre di quella che sembrava una notte senza fine. Non tutti però odiavano la densa oscurità che regnava nel sottosuolo. Orso, Pantera e Gufo prediligevano il buio e mai avrebbero voluto vedere la luce. Ben presto questi animali amanti della notte si scontrarono con tutti gli altri animali e con gli uomini che desideravano invece la luce del giorno. Ne nacque una violenta lite. Al termine dell'inutile contesa, decisero di risolvere la disputa con il gioco dei bussolotti. Il vincitore avrebbe deciso per la luce o per il buio nel sottosuolo. Il gioco ebbe inizio.
Gazza e Quaglia, che amano molto la luminosità poichè hanno occhi chiari e vista aguzza, riuscirono subito ad individuare il bottone che faceva da bussolotto e che gli avversari avevano nascosto in un piccolo bastone cavo. così vinsero la prima partita e, in seguito a ciò, già si intravedeva la flebile luce della stella del mattino. A quel primo chiarore Orso scappò via dileguandosi nell'oscurità di una grotta. Il gioco continuò e ancora una volta gli animali che amano la luce vinsero insieme agli esseri umani. subito da Est incominciò a sorgere la luminosità sempre più chiara e intensa e Pantera, impaurito, si allontanò velocemente nascondendosi in un anfratto che ancora rimaneva buio. Giocarono ancora e di nuovo la squadra della luce vinse. L'Est era ormai sempre più illuminato e si potevano vedere già i primi raggi del sole che annunziavano l'alba imminente. Stavolta fu Orso Bruno a svignarsela per proteggersi dalla luce incipiente. Quando gli esseri umani e gli animali amanti del giorno vinsero per la quarta volta, allora Sole sorse a Est e finalmente le tenebre sotterranee furono sconfitte. Tutto era illuminato e fu davvero difficile per Gufo scovare un nascondiglio che lo proteggesse da tanto radioso splendore. Appena Sole fu al centro del cielo sotterraneo scoprì che nella volta celeste si apriva un grosso buco. Si affacciò allora a dare un'occhiata e rimase stupito: dall'altra parte vi era un altro mondo, la nostra terra. Quando riferì alla gente la sua scoperta vi fu un improvviso clamore, tutti erano eccitati, volevano salire verso quell'apertura, ma non sapevano come fare. Poi alcuni di essi riuscirono a trovare della sabbia; era terra colorata di quattro colori diversi: azzurro, giallo, nero e scintillante. Con questa terra costruirono quattro piccoli mucchi: uno di terra nera, che posero ad Est, un altro di terra azzurra a Sud, poi ancora uno di terra gialla ad Ovest ed infine quello di terra scintillante a Nord. Altre persone pensarono bene di seminare questi piccoli mucchi di terra con semi e piante di frutta. Altri ancora provvidero ad innaffiarli prontamente. Ciascuno si dava un gran da fare e tutti aiutavano in qualcosa, tanta era l'ansia di salire verso il nuovo mondo. Quando furono ben zuppi d'acqua, i mucchi di sabbia incominciarono a fremere, poi subito si gonfiarono e all'improvviso incominciarono a crescere a vista d'occhio. Più la gente versava l'acqua, più diventavano gonfi, sempre più gonfi e ancora più alti. A mano a mano che i mucchi crescevano, i semi germogliavano e le piantine andavano trasformandosi in alberi frondosi. Ora i mucchi erano cresciuti come colline e gli alberi da frutta si ricoprirono di gemme fiorite. Le quattro colline continuarono a crescere fino a diventare alte come montagne: allora le frasche si arricchirono di splendidi frutti, bacche mature e succose ciliege. La montagna cresceva sempre di più e sembrava raggiungere la volta celeste proprio nel punto in cui si apriva il buco. La gente era felice. Danzava e cantava mentre il monte diveniva sempre più alto. Tutti speravano di poter presto emergere dal sottosuolo.
Un giorno due giovani fanciulle, attratte dal meraviglioso spettacolo di quelle quattro montagne ricche di frutti e di fiori, si arrampicarono lungo le pendici alberate ed incominciarono a raccogliere bacche da gustare e fiori per ornare i loro capelli. In quel modo però le due ignare ragazze violarono quello scenario così attraente e fu così che all'improvviso le montagne smisero di crescere.
La gente si meravigliò non riuscendo a capire perchè ciò fosse accaduto. Fu deciso allora di inviare un esploratore perchè scoprisse la causa di quell'arresto improvviso. Fu scelto Ciclone, il quale subito si mise in cammino cercando in ogni angolo, finchè non scoprì le due ragazze e le ricondusse alla gente. Le montagne tuttavia non ripresero a crescere ed ora sembrava impossibile raggiungere il buco, poichè le vette più alte si erano arrestate ad una certa distanza da esso. Allora alcuni pensarono di costruire una scala legando fra loro piume d'aquila, ma quei fragili gradini si ruppero subito sotto il peso delle persone. Così fu anche per una seconda scala di piume. Dopo vari fallimenti la gente era triste e scoraggiata. Giunse allora Bufalo e offrì il suo corno destro affinchè la gente lo utilizzasse come scala. L'idea era buona, ma un solo corno non bastava. Giunsero allora altri tre bufali ad offrire le loro corna. Fu possibile costruire così una scala molto solida, capace di sopportare il peso d'un uomo. La scala, posta sulla cima del monte, raggiunse l'apertura; così finalmente tutti poterono salire verso il foro. Ma il peso dell'intera umanità curvò le corna del Bufalo e da allora i bufali hanno corna ritorte. Intanto tutti gli esseri viventi del sottosuolo si erano raccolti intorno al buco. Essi non potevano ancora emergere poichè il mondo era coperto dall'acqua. Quattro burrasche furono allora inviate per spazzare via le acque dalla terra. Burrasca nera soffiò ad Est, Tempesta azzurra a Sud, Burrasca gialla ad Ovest e Tempesta scintillante a Nord. Così nacquero i quattro oceani.
Dopo aver raccolto le acque nelle quattro direzioni, le burrasche si calmarono e ritornarono nel sottosuolo. Il mondo era ora libero dalle acque, ma il suolo era ancora umido e melmoso. Il primo ad uscire fu Puzzola. Appena fu all'esterno le sue gambe sprofondarono nel fango e divennero nere; e da allora sono rimaste di questo colore. Fu poi la volta di Castoro. Appena si trovò sul mondo costruì una grande diga e raccolse tutta l'acqua che ancora si trovava sulla terra, in un grande lago. Per fare ciò Castoro impiegò molto tempo. Gli uomini raggruppati intorno al buco non lo videro tornare e inviarono Ciclone a vedere se gli fosse successo qualcosa. Quando Ciclone incontrò Castoro intento a recuperare l'acqua che si andava ritirando, dapprima non capì, poi Castoro gli spiegò che quell'acqua sarebbe servita a dissetare l'umanità. Allora insieme ritornarono al buco della terra. Ormai il mondo nuovo era completamente asciutto. Tutte le acque erano state riversate nei quattro oceani e nel grande lago costruito da Castoro. La gente poteva finalmente venir fuori.
Con grande felicità tutti emersero dal buco della terra, come bambini partoriti dal ventre di una madre. Tutta l'umanità venne fuori da lì, i nostri antenati e tutti gli animali. Viaggiarono verso Est, verso Nord, verso Ovest e verso Sud fino a raggiungere gli oceani, e durante il viaggio ciascuno scelse il luogo dove vivere.
Da allora sappiamo che la Terra è la nostra Madre e il Cielo è il nostro Padre. Essi sono marito e moglie e si prendono cura di noi, loro figli. La terra provvede per noi offrendoci cibo e frutta e ogni genere di ricchezza che provenie da essa.

Incontro VI - le divinità femminili del pantheon norreno - Racconto



      I capelli di Sif e la bocca di Loki
Preso da quella strana malattia che è la noia, fonte di tutti i mali e del desiderio di nuove sensazioni, un giorno Loki catturò Sif, la bella compagna di Thor. Le bionde chiome della leggiadra signora delle messi stuzzicarono la cattiveria di Loki che, spinto da una ìrrefrenabile smania, iniziò a tagliarle, incurante delle lacrime che solcavano il viso della dea. In breve tempo, lavorando con demoniaco impegno, i bei capelli caddero tutti al suolo, mostrando il triste spettacolo di un cranio femminile rasato a zero. Contemplando la sua opera, l'infame Loki sghignazzava, pago della sua gratuita malvagità. La povera Sif, preda dello sconforto più assoluto, riuscì a liberarsi e, correndo a più non posso, si rifugiò tra le possenti braccia del marito. Il signore del tuono, al quale Sif, singhiozzando, aveva raccontato dell'affronto subito, si precipitò ad Asgardh, deciso a farla finita una volta per tutte con quell'insolente dì Loki. Solo l'abilità oratorìa, quel suo eloquio mielato, salvarono Loki da una morte orribile: promise a Thor che si sarebbe recato tra gli Elfi scuri per farsi confezionare una chioma d'oro del tutto simile, se non più bella, a quella naturale che aveva Sif. E, forse nel tentativo di ingraziarsi le altre divinità promise che avrebbe portato altri strabilianti oggetti, dotati di magiche virtù, che non avrebbero fatto rimpiangere le preziose ciocche da lui recise.
Inabissatosi nei tortuosi labirinti che conducevano nelle oscure viscere della terra, Loki giunse nel territorio dei nai da tutti chiamati «figli di Ivaldi» dal nome del loro progenitore. Ben conoscendo le straordinarie capacità degli Elfi, Loki non ebbe difficoltà a farsi forgiare una magnifica parrucca di bellissimi fili d'oro lucente, abbaglianti più del sole. I portentosi artigiani, depositari di arcaici segreti, gli costruirono anche la nave Skidhbiandnir, vascello di inestimabile valore che una volta messo in mare, aveva sempre il vento favorevole, anche se regnava la bonaccia. Inoltre, pronunciando delle formule magiche, si rimpiccioliva al punto da potersi agevolmente mettere in una tasca. Ma la strabiliante sapienza dei nani non conosceva limiti: forgiarono anche Gungnir, una sensazionale lancia capace di affrontare da sola il nemico, inseguendolo fino a colpirlo senza pietà. 
Ormai Loki aveva ricevuto doni sufficienti a lenire la rabbia degli dèi e poteva tornare nella cittadella divina. Ma, sempre alla ricerca di nuove occasioni di scommessa, entrò nella bottega dei fratelli Brokk ed Eitri, due fabbri. Adoperando il suo usuale tono altezzoso, Loki iniziò a disprezzare il lavoro dei due artigiani, affermando che non sarebbero mai stati capaci di realizzare tre oggetti paragonabili, per bellezza e funzione, a quelli che aveva con sé. I due fratelli accettarono la sfida e si misero al lavoro: Brokk prese una pelle di porco e con cautela, la pose sulla fucina, raccomandando al fratello di soffiare con il mantice fino al suo ritorno, senza mai fermarsi, qualsiasi cosa accadesse. Eitri, seguendo le istruzioni del fratello, manovrava con lena il pesante mantice, mantenendo la brace ardente. All'improvviso entrò nella bottega, annunciata da un fastidioso ronzio, una grossa mosca. L'insetto andò a posarsi proprio sulla mano del nano, disturbando non poco il suo lavoro. Alcuni insinuavano che fu lo stesso Loki, ricorrendo ad uno dei suoi truffaldini travestimenti, a molestare Eitri, tentando così di distoglierlo dal compito assegnatogli da Brokk. Difatti l'insetto punse con forza la mano di Eitri, che però continuò, nonostante il dolore, a soffiare con il mantice. Giunse allora Brokk che, compiaciuto con il fratello per la sua abnegazione, tolse il primo prodotto da esibire nella sfida con il dio: era un magnifico cinghiale, il cui dorso non era ricoperto da normali setole, ma da sottilissimi fili d'oro. Naturalmente il cinghiale fu chiamato Cullinbursti, «setole d'oro». Brokk, non dimenticando che dovevano presentare tre oggetti, si rimise a lavoro. Questa volta, come materiale di fusione, adoperò dei lingotti d'oro massiccio. Eitri riprese il suo posto al mantice e prese a far aria con potenza, mentre Brokk uscì dalla bottega raccomandandogli di non smettere fino al suo ritorno. La solita mosca - insetto nato per innervosire la gente - iniziò a volteggiare sopra la testa dell'artigiano e, seguendo un suo preciso piano di disturbo, lo punse sul collo. Conscio dell'importanza del compito affidatogli, Eitri strinse i denti e, sopportando un dolore ancora più acuto, continuò fino a quando non vide il fratello. Poco dopo arrivò Brokk e, costatato che la mosca non aveva compromesso il lavoro del fratello, estrasse dalla fucina un meraviglioso anello. L'aureo cerchietto aveva lo strano potere di riprodursi ogni nove notti in otto esemplari identici come gocce d'acqua: proprio per questo motivo lo chiamarono Draupnir, «che gocciola». Bisognava fabbricare un altro oggetto, altrettanto portentoso come i primi due. Brokk, che era la «mente», pose sulla fucina del ferro e, ancora una volta, rammentò al fratello - il «braccio» - che tutto sarebbe stato inutile se egli avesse smesso, anche per un solo istante, di soffiare con il mantice fino al suo ritorno. Inutile dire che la mosca, animata sicuramente da qualche potenza demoniaca, ricomparve e, ronzando incessantemente, si avvicinò ad Eitri. L'insetto punse l'indefesso fabbro proprio su una palpebra e, immediatamente, dei rivoli di sangue gli rigarono il volto, impedendogli di vedere ciò che stava facendo. Solo allora, e per un attimo, Eitri tolse una mano dal mantice per cacciar via la mosca. In quell'istante ritornò Brokk e dicendo che tutto stava per essere rovinato irrimediabilmente trasse dalla fucina un martello. A causa dell'incidente il martello aveva un piccolo difetto: il manico era un po' corto. Ma per il resto, che oggetto eccezionale! Una volta scagliato contro un qualsiasi obiettivo, lo raggiungeva infallibilmente, riducendolo in minuscoli frantumi. Come se non bastasse, esaurita la sua missione di distruzione, ritornava nelle mani del lanciatore come un boomerang. Inoltre, con appositi incantesimi, il martello poteva diventare tanto piccolo da essere nascosto in una tasca. Arma onnimaciullante, il martello fu chiamato Mjdlnir ' «che frantuma».
I due nani potevano considerarsi, e a ragione, orgogliosi di simili prodigiosi prodotti e, confidando in una sicura vittoria, Brokk si recò nella cittadella divina per confrontarsi con Loki. Il sacro concilio degli Asi, riunitosi per l'occasione, designò Odino, Thor e Freyr arbitri supremi della sfida. Loki mostrò i suoi tesori: donò Gungnir, ad Odino, magnificandone le doti; a Thor consegnò l'aurea parrucca dicendogli che, una volta poggiata sul cranio di Sif, i filamenti si sarebbero radicati come veri capelli, crescendo splendenti sempre più; la nave Skidhbladnir fu consegnata a Freyr e anche questa volta Loki descrisse con sapiente aggettivazione le doti nascoste del suo dono. I tre oggetti riscossero l'ammirazione degli dèi che, ammaliati anche dall'eloquenza di Loki, non riuscivano ad immaginare nulla che potesse soltanto eguagliarne il valore. Fu poi la volta dell'operoso nano: porse al padre degli dèi l'anello Draupnir, raccontando la sua eccezionale capacità di autoriproduzione, facendo balenare davanti agli occhi divini lo spettacolo delle montagne d'oro che se ne potevano ricavare, pose Mjdìnir nelle mani di Thor, al quale descrisse il fenomenale potere distruttivo dell'arma, sottolineando che contro di essa nulla avrebbero potuto i giganti; a Freyr regalò il cinghiale dalle setole d'oro, dicendogli che avrebbe potuto cavalcarlo sia in cielo che in terra o sulle onde del mare, anche di notte, perché le sue setole avrebbero illuminato il tragitto, lasciandosi dietro una scia luccicante che i comuni mortali avrebbero scambiato per stelle cadenti. La sacra giuria senza esitazioni decretò la vittoria del fabbro, poiché, dissero, i suoi doni erano preziosi, ma anche utili. Il rnartello, ad esempio, sarebbe stata l'arma migliore per difenderli dall'arroganza dei giganti. Infine, come si era soliti fare in quelle occasioni, condannarono Loki a consegnare la sua testa a Brokk. L'abile architetto di tante truffe, il signore del sotterfugio, vide andare in frantumi tutta la sua perfida sapienza: a nulla, infatti, valsero le sue offerte, formulate ricorrendo a quell'arte della persuasione che più di una volta lo aveva salvato da simili pericoli. Il fabbro fu irremovibile: a nessun costo avrebbe rinunciato alla testa di un simile spaccone. A Loki, «vergogna degli Asi», non restò che ricorrere ad una ignominiosa fuga: calzate magiche scarpe che gli consentivano di correre sull'acqua e attraverso il cielo, il dio iniziò una frenetica corsa e, deludendo sia il nano che gli dèi, sparì. Thor, che non poteva sopportare l'ombra di vigliaccheria piombata sugo dèi, scopri il rifugio di Loki e lo catturò, consegnandolo subito a Brokk. Protetto dal più forte degli Asi, l'artigiano si preparava a staccare la testa dei suo sfidante quando, sottilizzando sul significato letterale delle parole, Loki disse che poteva fare tutto ciò che voleva della sua testa, ma doveva lasciare intatto il collo: avevano scommesso la testa, nient'altro che la testa. Di fronte a tanta sfacciataggine, Brokk non si perse d'animo e, deciso ad umiliarlo fino in fondo, prese un coltello e dello spago e tentò di forare le labbra di Loki: voleva cucirgli la bocca, per impedirgli di pronunziare altre parole di sfida o di disprezzo.
Ma il coltello non tagliava. Il fabbro, recitando una delle sue segrete formule, fece aprire dal nulla la lesina con cui erano soliti, lui ed il fratello, forare le pareti. Questa volta le labbra del dio perdente vennero trafitte con facilità e lo spago potè passre tra i fori e sigillarle. Loki aveva avuto una giusta punizione: si trattava di un supplizzio dolorosissimo per lui, abituato a costruire frasi pompose, compiacendosi al solo loro suono. Purtroppo, poco dopo, Loki riuscì a strappre i pur forti nodi e, ormai libero, potè continuare ad imbastire tranelli avvalendosi del suo eloquio forbito.
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