lunedì 25 aprile 2016

Il maestro delle pozioni - III Incontro - Sabato 23 Aprile

Il Maestro delle Pozioni

(Da Harry Potter e la Pietra filosofale, cap. 8)


‘Guarda lì!’ ‘Dove?’ ‘Vicino a quello alto coi capelli rossi’.  ‘Quello con gli occhiali?’  ‘Ma hai visto che faccia?’  ‘E la cicatrice, l'hai vista?’  Il giorno dopo, da quando Harry ebbe lasciato il dormitorio, fu inseguito da una miriade di bisbigli. I ragazzi, in fila fuori delle classi, si alzavano in punta dei piedi per dargli un'occhiata anche solo per un attimo, oppure lo superavano lungo i corridoi per poi tornare indietro a osservarlo meglio. Harry avrebbe preferito che non lo facessero, perché stava cercando di concentrarsi sul percorso da seguire per arrivare in classe.
A Hogwarts c'erano centoquarantadue scalinate: alcune ampie e spaziose; altre strette e pericolanti; alcune che il venerdì portavano in luoghi diversi; altre con a metà un gradino che scompariva e che bisognava ricordarsi di saltare. Poi c'erano porte che non si aprivano, a meno di non chiederglielo cortesemente o di non far loro il solletico nel punto giusto, e porte che non erano affatto porte ma facevano finta di esserlo. Molto difficile era anche ricordare dove fossero le cose, perché tutto sembrava soggetto a continui spostamenti: i personaggi dei ritratti si allontanavano continuamente per farsi visita l'uno con l'altro, e Harry avrebbe giurato che le armature camminassero. Neanche i fantasmi contribuivano a rendere più semplice la situazione. Era assai sgradevole quando uno di loro, all'improvviso, scivolava attraverso una porta che un ragazzo stava cercando di aprire. Nick-Quasi-Senza-Testa era sempre felice di indicare ai Grifondoro la giusta direzione, ma Pix il Poltergeist, se lo incontravi quando eri in ritardo per una lezione, era capace di farti trovare due porte sprangate e una scala a trabocchetto. Ti tirava in testa il cestino della carta straccia, ti sfilava il tappeto da sotto i piedi, ti lanciava addosso pezzi di gesso oppure, avvicinatosi di soppiatto, ti afferrava il naso e strillava: ‘PRESO!’  Ancor peggio di Pix, se possibile, era il custode Argus Gazza. Harry e Ron riuscirono a prenderlo per il verso sbagliato fin dalla prima mattina. Gazza li sorprese mentre cercavano di passare per una porta, che sfortunatamente risultò essere l'entrata al corridoio del terzo piano di cui era vietato l'accesso agli studenti. Non volle credere che si fossero smarriti, convinto com'era che stessero cercando di forzarne l'entrata di proposito, e minacciò di rinchiuderli in prigione, se non fosse stato per il professor Raptor che passava in quel momento e li salvò.  Gazza possedeva una gatta di nome Mrs Purr, una creatura color polvere, tutta pelle e ossa, con due occhi sporgenti come fari, spiccicata al suo padrone. La gatta pattugliava i corridoi da sola. Bastava infrangere una regola di fronte a lei, mettere appena un piede fuori riga, ed eccola correre in cerca di Gazza, il quale puntualmente appariva due secondi dopo, tutto ansimante. Gazza conosceva i passaggi segreti della scuola meglio di chiunque altro (tranne forse i gemelli Weasley) ed era capace di sbucare fuori all'improvviso al pari dei fantasmi. Gli studenti lo detestavano, e desideravano con tutto il cuore di riuscire ad assestare un bel calcio a Mrs Purr. E poi, una volta che uno riusciva a trovare la classe, c'erano le lezioni. Come Harry scoprì ben presto, la magia era tutt'altra cosa dall'agitare semplicemente la bacchetta magica pronunciando parole incomprensibili. Ogni mercoledì a mezzanotte bisognava studiare il cielo stellato con i telescopi e imparare il nome delle stelle e i movimenti dei pianeti. Tre volte alla settimana, ci si doveva recare nella serra dietro al castello per studiare Erbologia con una strega piccola e tarchiata, la professoressa Sprite, con la quale i ragazzi imparavano a coltivare tutte le piante e i funghi più strani, e a scoprire a cosa servivano. Indubbiamente, la lezione più noiosa era Storia della Magia, l'unico corso tenuto da un fantasma. Invece il professor Vitious, l'insegnante di Incantesimi, era un mago basso e mingherlino che doveva salire sopra una pila di libri per vedere al di là della cattedra. All'inizio della prima lezione prese il registro e, quando arrivò al nome di Harry diede un gridolino eccitato e ruzzolò giù, scomparendo alla vista.  La professoressa Mcgranitt era ancora diversa. Harry aveva avuto ragione di pensare che era meglio non contrariarla. Severa e intelligente, fece un bel discorsetto ai ragazzi nel momento stesso in cui si sedettero per ascoltare la sua prima lezione.  ‘La Trasfigurazione è una delle materie più complesse e pericolose che apprenderete a Hogwarts’ disse. ‘Chiunque faccia confusione nella mia aula verrà espulso e non sarà più riammesso. Siete avvisati’. Poi trasformò la sua cattedra in un maiale e viceversa. Tutti rimasero molto impressionati e non vedevano l'ora di cominciare, ma ben presto si resero conto che ci sarebbe voluto un bel po' di tempo prima che diventassero capaci di trasformare un mobile in un animale. Presero un mucchio di appunti complicati, dopodiché a ciascuno fu dato un fiammifero che dovevano provare a trasformare in un ago. Alla fine della lezione, solo Hermione Granger aveva cambiato qualche cosa nel suo fiammifero; la professoressa Mcgranitt mostrò alla classe che era diventato tutto d'argento e acuminato, e gratificò Hermione con uno dei suoi rari sorrisi. Il corso che tutti non vedevano l'ora di frequentare era Difesa contro le Arti Oscure, ma le lezioni di Raptor si dimostrarono un po' una barzelletta. L'aula odorava fortemente di aglio: tutti dicevano servisse a tenere lontano un vampiro che egli aveva incontrato in Romania, e che temeva che sarebbe tornato un giorno o l'altro a prenderlo per portarlo via. Il turbante, così disse ai suoi allievi, lo aveva ricevuto in dono da un principe africano, come pegno di gratitudine per averlo liberato di un fastidioso zombie; ma loro non erano così sicuri che quella storia fosse vera. Tanto per cominciare, quando Seamus Finnigan aveva chiesto a Raptor di raccontare come aveva fatto a scacciare lo zombie, lui era diventato tutto rosso e aveva cominciato a parlare del tempo. E poi avevano notato che intorno al turbante aleggiava uno strano odore, e i gemelli Weasley insistevano che anche quello era imbottito d'aglio, perché Raptor fosse protetto ovunque andasse.  Harry fu molto sollevato nel constatare che non era poi così indietro rispetto agli altri. Molti venivano da famiglie di Babbani e, come lui, non sapevano di essere streghe o maghi. C'era così tanto da imparare che anche persone come Ron non erano poi molto avvantaggiate.
Il venerdì successivo fu un giorno importante
per Harry e Ron. Finalmente riuscirono ad arrivare alla Sala Grande per colazione senza perdersi neanche una volta. ‘Cosa abbiamo oggi?’ chiese Harry a Ron versandosi lo zucchero nel tè. ‘Pozioni doppie per i Serpeverde’ disse Ron. ‘Il capo del dormitorio Serpeverde è Piton, e quelli di Serpeverde dicono che lui li favorisce sempre... vedremo se è vero’. ‘Quanto vorrei che la Mcgranitt favorisse noi’ disse Harry. La professoressa Mcgranitt era la direttrice del dormitorio Grifondoro, ma questo non le aveva impedito, il giorno prima, di dargli una montagna di compiti. Appena arrivato, durante il banchetto inaugurale, Harry aveva avuto l'impressione di non stare simpatico al professor Piton. Alla fine della prima lezione di Pozioni seppe che si era sbagliato. Non è che lo trovasse antipatico... lo odiava. Le lezioni di Pozioni si svolgevano in una delle celle sotterranee. Qui faceva più freddo che ai piani alti, il che sarebbe bastato a far venire loro la pelle d'oca anche senza tutti quegli animali che galleggiavano nei barattoli di vetro lungo le pareti. Come Vitious, anche Piton iniziò la lezione prendendo il registro, e sempre come Vitious, giunto al nome di Harry si fermò. ‘Ah, vedo’ disse con voce melliflua, ‘Harry Potter. La nostra nuova... celebrità’. Draco Malfoy e i suoi amici Tiger e Goyle nascosero un ghigno dietro la mano. Piton finì di fare l'appello e alzò lo sguardo sulla classe. Aveva gli occhi neri come quelli di Hagrid, ma del tutto privi del suo calore. Erano gelidi e vuoti, e facevano pensare a due tunnel immersi nel buio. ‘Siete qui per imparare la delicata scienza e l'arte esatta delle Pozioni’ cominciò. Le sue parole erano poco più di un sussurro, ma ai ragazzi non ne sfuggiva una: come la professoressa Mcgranitt, Piton aveva il dono di mantenere senza sforzo il silenzio in classe. ‘Poiché qui non si agita insulsamente la bacchetta, molti di voi stenteranno a credere che si tratti di magia. Non mi aspetto che comprendiate a fondo la bellezza del calderone che bolle a fuoco lento, con i suoi vapori scintillanti, il delicato potere dei liquidi che scorrono nelle vene umane ammaliando la mente, stregando i sensi... Io posso insegnarvi a imbottigliare la fama, la gloria, addirittura la morte... sempre che non siate una manica di teste di legno, come in genere sono tutti gli allievi che mi toccano’. Anche questo discorsetto cadde nel silenzio. Harry e Ron si scambiarono un'occhiata alzando le sopracciglia. Hermione Granger era seduta sul bordo della sedia e sembrava non vedesse l'ora di dimostrare che lei non era una ‘testa di legno’. ‘Potter’ disse Piton d'un tratto. ‘Che cosa ottengo se verso della radice di asfodelo in polvere dentro un infuso di artemisia?’ Radice in polvere di che cosa, in un infuso di che cosa? Harry lanciò un'occhiata a Ron, che appariva altrettanto sconcertato; invece Hermione era già lì con la mano alzata. ‘Non lo so, signore’ disse Harry. Le labbra di Piton si incresparono in un ghigno. ‘Bene, bene... è chiaro che la fama non è tutto’. Ignorò la mano alzata di Hermione. ‘Proviamo ancora. Potter, dove guarderesti se ti dicessi di trovarmi una pietra bezoar?’ Hermione alzò di nuovo la mano più in alto che poteva senza alzarsi dalla sedia, ma Harry non aveva la più pallida idea di che cosa fosse un bezoar. Cercò di ignorare Malfoy, Tiger e Goyle che si sbellicavano dalle risate. ‘Non lo so, signore’. ‘Immagino che tu non abbia neanche aperto un libro prima di venire qui, vero, Potter?’ Harry si costrinse a continuare a guardare fisso quegli occhi glaciali. In realtà aveva dato una scorsa ai libri, quando era ancora dai Dursley, ma forse Piton si aspettava che si ricordasse tutto quel che era scritto in Mille erbe e funghi magici? Piton continuava a ignorare la mano fremente di Hermione. ‘E... Potter, qual è la differenza tra l'Aconitum napellus e l'Aconitum lycoctonum?’ A questo punto, Hermione si alzò in piedi con la mano protesa come se volesse toccare il soffitto. ‘Non lo so’ disse Harry tranquillamente. ‘Ma penso che Hermione lo sappia. Perché non prova a chiederlo a lei?’ Alcuni risero; Harry colse lo sguardo di Seamus e Seamus ammiccò. Ma Piton non lo trovò affatto divertente. ‘Sta' seduta!’ ordinò secco a Hermione. ‘Per tua norma e regola, Potter, asfodelo e artemisia insieme fanno una pozione soporifera talmente potente da andare sotto il nome di Distillato della Morte Vivente. Un bezoar è una pietra che si trova nella pancia delle capre e che salva da molti veleni. Per quanto riguarda l'Aconitum napellus e l'Aconitum lycoctonum, sono la stessa pianta, nota anche con il semplice nome di aconito. Be'? Perché non prendete appunti?’ Ci fu un improvviso rovistare in cerca di penne e pergamene. Sovrastando il rumore, Piton disse: ‘E al dormitorio di Grifondoro verrà tolto un punto per la tua faccia tosta, Potter’. Col procedere della lezione di Pozioni, la situazione dei Grifondoro non migliorò. Piton li divise in coppie e li mise a fabbricare una semplice pozione per curare i foruncoli. Intanto, avvolto nel suo lungo mantello nero, si aggirava di qua e di là per la classe, osservandoli pesare ortiche secche e schiacciare zanne di serpente, muovendo critiche praticamente a tutti tranne che a Malfoy, che sembrava stargli simpatico. Aveva appena cominciato a dire agli altri di osservare il modo perfetto in cui Malfoy aveva stufato le sue lumache cornute, quando il sotterraneo fu invaso da una nube di fumo verde e acido e da un sibilo potente. Non si sa come, Neville era riuscito a fondere il calderone di Seamus trasformandolo in un ammasso di metallo contorto, e la loro pozione, colando sul pavimento di pietra, bruciava le scarpe degli astanti facendoci dei buchi. In pochi secondi, tutti i ragazzi erano saltati sugli sgabelli, salvo Neville, che si era bagnato con la pozione quando il calderone si era bucato e adesso piangeva di dolore, mentre sulle braccia e sulle gambe gli spuntavano bolle infiammate. ‘Ma che razza di idiota!’ sbottò Piton mentre con un sol tocco della sua bacchetta magica ripuliva il pavimento dalla pozione versata. ‘Suppongo che tu abbia aggiunto gli aculei di porcospino prima di togliere il calderone dal fuoco. Non è così?’ Neville frignava perché le bolle avevano cominciato a spuntargli anche sul naso. ‘Portalo in infermeria!’ intimò Piton a Seamus in tono sprezzante. Poi si girò verso Harry e Ron, che avevano lavorato accanto a Neville. ‘E tu, Potter... perché non gli hai detto di non aggiungere gli aculei? Pensavi che se lui sbagliava ti saresti messo in luce, non è vero? E questo è un altro punto in meno per i Grifondoro’. La cosa era così ingiusta che Harry aprì bocca per ribattere, ma Ron gli diede un calcio da dietro al loro calderone. ‘Non esagerare’ gli soffiò a bassa voce. ‘Ho sentito dire che Piton può diventare molto cattivo’. Un'ora dopo, lasciato il sotterraneo, mentre risalivano le scale, la mente di Harry galoppava e il suo umore era... sottoterra. In una sola settimana, aveva fatto perdere due punti a Grifondoro... Ma perché Piton lo odiava tanto?

La Spesa a Diagon Alley - II Incontro (Sabato 16 Aprile 2016)

Diagon Alley
(da Harry Potter e la pietra filosofale, cap. 5)

Il mattino dopo, Harry si svegliò di buon'ora. Benché si rendesse conto che era giorno fatto, tenne gli occhi ben chiusi. ‘E' stato tutto un sogno’ si disse con fermezza. ‘Ho sognato che un gigante di nome Hagrid è venuto a dirmi che avrei frequentato una scuola per maghi. Quando aprirò gli occhi mi ritroverò a casa dentro lo sgabuzzino’. D'un tratto si sentì bussare forte. ‘Ecco zia Petunia che bussa alla porta’ pensò Harry con il cuore che gli si faceva piccolo piccolo. Ma continuò a tenere gli occhi chiusi. Era stato un sogno così bello! Toc. Toc. Toc. ‘E va bene’ borbottò Harry, ‘mi sto alzando’. Si mise seduto e il pesante pastrano di Hagrid gli cadde di dosso. La catapecchia era tutta illuminata dal sole, la bufera era passata; Hagrid, in carne e ossa, dormiva sul divano sfondato, e un gufo raspava con gli artigli alla finestra, tenendo un giornale nel becco. Harry scattò in piedi, ed era talmente contento che si sentiva leggero come un palloncino. Andò alla finestra e la spalancò. Il gufo volò dentro e lasciò cadere il giornale su Hagrid, e poiché non si svegliava, cominciò a svolazzare sul pavimento beccando il suo soprabito. ‘Non fare così’. Harry cercò di scacciarlo con la mano, ma quello batté il becco con aria feroce e continuò a infierire sul mantello. ‘Hagrid!’ disse Harry a voce alta. ‘C'è un gufo!’ ‘Pagalo’ grugnì Hagrid dal divano. ‘Come?’ ‘Bisogna pagarlo per la consegna del giornale. Guarda nelle tasche’. Sembrava che il pastrano di Hagrid fosse fatto soltanto di tasche. Mazzi di chiavi, proiettili per fionda, gomitoli di spago, mentine, bustine di tè. finalmente, Harry tirò fuori una manciata di monete dall'aspetto strano. ‘Dagli cinque zellini’ disse Hagrid con voce assonnata. ‘Zellini?’ ‘Le monetine di bronzo’. Harry contò cinque piccole monete di bronzo e il gufo allungò la zampa per consentirgli di mettere il denaro in un borsellino di cuoio che vi portava legato. Poi volò via dalla finestra aperta. Hagrid sbadigliò rumorosamente, si mise seduto e si stiracchiò. ‘Meglio che andiamo, Harry, abbiamo un sacco di cose da fare, oggi: dobbiamo arrivare a Londra e fare gli acquisti per la scuola’.

Sul treno la gente li scrutava più che mai. Hagrid occupava due posti a sedere e aveva preso a sferruzzare quello che sembrava un tendone da circo color giallo canarino. ‘Hai ancora la lettera, Harry?’ chiese mentre contava le maglie. Harry tirò fuori dalla tasca la busta di pergamena. ‘Bene’ disse Hagrid. ‘Lì c'è un elenco di tutto quel che ti serve’. Harry spiegò un secondo foglio che la sera prima non aveva notato e lesse.

SCUOLA di MAGIA e STREGONERIA di HOGWARTS

  • Uniforme: Gli studenti del primo anno dovranno avere: tre completi da lavoro in tinta unita (nero); Un cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno; Un paio di guanti di protezione (in pelle di drago o simili); un mantello invernale (nero con alamari d'argento). N.B. Tutti gli indumenti degli allievi devono essere contrassegnati da una targhetta con il nome.
  • Libri di testo:Tutti gli allievi dovranno avere una copia dei seguenti testi: Manuale degli Incantesimi, Volume primo, di Miranda Gadula; Storia della Magia, di Bathilda Bath; Teoria della Magia, di Adalbert Incant; Guida pratica alla trasfigurazione per principianti, di Emeric Zott; Mille erbe e funghi magici, di Phyllida Spore; Infusi e pozioni magiche, di Arsenius Brodus; Gli animali fantastici: dove trovarli, di Newt Scamandro; Le Forze Oscure: guida all'autoprotezione, di Dante Tremante
  • Altri accessori: 1 bacchetta magica; 1 calderone (in peltro, misura standard 2); 1 set di provette di vetro o cristallo; 1 telescopio; 1 bilancia d'ottone
  • Gli allievi possono portare anche un gufo, oppure un gatto, oppure un rospo.
  • Si ricorda ai genitori che agli allievi del primo anno non è consentito l'uso di manici di scopa personali.

‘Si può comprare tutto a Londra?’ si chiese ad alta voce Harry. ‘Sì, se uno sa dove andare’ rispose Hagrid. Harry non era mai stato a Londra. Per quanto fosse chiaro che Hagrid sapeva dove stava andando, era altrettanto ovvio che non era abituato a girare per la città come un comune mortale. Rimaneva incastrato nei tornelli della metropolitana, e si lamentava ad alta voce che i sedili delle vetture erano troppo piccoli e i treni troppo lenti. ‘Non so proprio come fanno i Babbani a cavarsela senza magia’ disse mentre si arrampicavano su per una scala mobile sfasciata, che portava a una strada brulicante di traffico e piena di negozi. Passarono davanti a negozi di libri e di musica, a fast-food e cinema, ma in nessuno pareva si vendessero bacchette magiche. Era una strada qualsiasi, piena di gente qualsiasi. Possibile che esistessero negozi dove si vendevano libri di incantesimi e manici di scopa? Per quanto incredibile gli sembrasse tutto quel che Hagrid gli aveva raccontato fino a quel momento, Harry non riusciva a non fidarsi di lui.

‘Eccoci arrivati’ disse Hagrid fermandosi. ‘Il paiolo magico. Un posto famoso’. Era un piccolo pub, dall'aspetto sordido. Se Hagrid non glielo avesse indicato, Harry non ci avrebbe neanche fatto caso. E infatti, Harry aveva la stranissima sensazione che solo lui e Hagrid lo vedessero. Prima che potesse dire una parola, Hagrid lo aveva spinto dentro. Per essere un posto famoso, Il paiolo magico era molto buio e dimesso. Alcune vecchie erano sedute in un angolo e sorseggiavano un bicchierino di sherry. Una di loro fumava una lunga pipa. ‘Il solito, Hagrid?’,‘Non posso, Tom, sono in servizio per Hogwarts’ disse il gigante dando una grossa pacca con la manona sulla spalla di Harry, al quale si piegarono le ginocchia. ‘Buon Dio!’ esclamò il barman scrutando Harry. ‘Questo è... non sarà mica...?’ Nel locale cadde d'un tratto il silenzio; tutti si immobilizzarono. ‘Mi venisse un colpo...’ sussurrò con un filo di voce il vecchio barman. ‘Ma è Harry Potter! Quale onore!’ Uscì di corsa da dietro il bancone, si precipitò verso Harry e gli afferrò la mano con le lacrime agli occhi. ‘Bentornato, Mr Potter, bentornato!’ Harry non sapeva che cosa dire. Tutti lo guardavano. Hagrid era raggiante. Ci fu un grande tramestio di sedie, e subito dopo Harry si trovò a stringere la mano di tutti i presenti. Harry strinse mani a non finire. Si fece largo un giovanotto pallido dall'aria molto nervosa. Aveva un tic a un occhio. ‘Professor Raptor!’ disse Hagrid. ‘Harry, il professore sarà uno dei tuoi insegnanti a Hogwarts’. ‘P-P-Potter’ balbettò il professor Raptor afferrando la mano di Harry, ‘n-n-non so d-d-dirle qu-quanto s-sono felice di c-c-conoscerla’. ‘Che tipo di magia insegna lei, professor Raptor?’ ‘D-difesa co-contro le Arti O-o-oscure’ balbettò Raptor come se avesse preferito non saperlo. ‘N-n-non che a lei s-serva, eh, P-P-Potter?’ E rise nervosamente.. Ci vollero almeno dieci minuti per liberarsi di tutti. Finalmente, Hagrid riuscì a farsi udire al di sopra del cicaleccio. ‘Ora dobbiamo andare... un mucchio di acquisti da fare. Sbrigati, Harry’.

Hagrid gli fece strada attraverso il bar; uscirono in un piccolo cortile circondato da un muro, dove non c'era altro che un bidone della spazzatura e qualche erbaccia. Hagrid sorrise a Harry. ‘Te l'avevo detto, no? Te l'avevo detto che eri famoso. Nel frattempo, Hagrid stava contando i mattoni sul muro sopra il bidone della spazzatura. ‘Tre verticali... due orizzontali...’ bofonchiava. ‘Bene. Sta indietro, Harry’. Batté sul muro tre volte con la punta dell'ombrello. Il mattone che aveva colpito vibrò... si contorse... al centro apparve un piccolo buco... si fece sempre più grande... e un attimo dopo si trovarono di fronte un arco abbastanza largo da far passare Hagrid. L'arco dava su una strada selciata tutta curve, di cui non si vedeva la fine. ‘Benvenuto a Diagon Alley!’ disse Hagrid. Sorrise allo stupore di Harry. Attraversarono l'arco. Harry gettò una rapida occhiata alle sue spalle e vide l'arco rimpicciolirsi, ridiventando un muro compatto. Il sole splendeva illuminando una pila di calderoni fuori del negozio più vicino. Un'insegna appesa sopra diceva: Calderoni. Tutte le dimensioni. Rame, ottone, peltro, argento. Autorimestanti. Pieghevoli.  ‘Te ne servirà uno’ disse Hagrid, ‘ma prima dobbiamo andare a prenderci i soldi’. Harry avrebbe voluto avere altre quattro paia di occhi. Strada facendo, si girava di qua e di là nel tentativo di vedere tutto e subito: i negozi, le cose esposte all'esterno, la gente che faceva le spese. ‘Ecco la Gringott’ disse Hagrid a un certo punto. Erano giunti a un edificio bianco come la neve che svettava sopra le piccole botteghe. Ritto in piedi, dietro un portale di bronzo brunito, con indosso un'uniforme scarlatta e oro, c'era... ‘Proprio così, quello è un folletto’ disse Hagrid tutto tranquillo, mentre salivano gli scalini di candida pietra diretti verso di lui. Il folletto era più basso di Harry di quasi tutta la testa. Aveva un viso dal colorito scuro e dall'aria intelligente, una barba a punta e, come Harry poté notare, dita e piedi molto lunghi. Si inchinò al loro passaggio. Un centinaio di altri folletti seduti su alti scranni dietro un lungo bancone scribacchiavano su grandi libri mastri, pesavano le monete su bilance di bronzo, ed esaminavano pietre preziose con la lente. Le porte erano troppo numerose per poterle contare, e altri folletti erano occupati ad aprirle e richiuderle per fare entrare e uscire le persone. Hagrid e Harry si avvicinarono al bancone. ‘Salve’ disse Hagrid a un folletto che in quel momento era libero. ‘Siamo venuti a prendere un po' di soldi dalla cassaforte di Mr Harry Potter’. ‘Avete la chiave, signore?’ ‘Devo averla da qualche parte’ fece Hagrid, cominciando a svuotare le tasche sul banco, e sparpagliando sul libro contabile del folletto una manciata di biscotti ammuffiti per cani. ‘Eccola qui’ disse finalmente Hagrid che aveva in mano una piccola chiave d'oro. Il folletto la osservò da vicino. ‘Sembra che vada bene’. ‘E qui ho anche una lettera del professor Silente’ disse Hagrid col petto in fuori, ostentando un'aria d'importanza. ‘Riguarda il Lei-Sa-Cosa della camera blindata settecentotredici’. Il folletto lesse attentamente la lettera. ‘Molto bene’ disse restituendola a Hagrid, ‘qualcuno vi accompagnerà in entrambe le camere blindate. Unci-unci!’ chiamò.

Unci-unci fece scattare la serratura della porta. Ne fuoriuscì una nube di fumo verde e, quando si fu dissipata, Harry rimase senza fiato. Dentro, c'erano montagne di monete d'oro. Cumuli d'argento. Mucchi di piccoli zellini di bronzo. ‘Tutto tuo’ disse Hagrid con un sorriso. Tutto suo? Era incredibile. I Dursley non dovevano saperne niente, altrimenti lo avrebbero immediatamente costretto a dar tutto a loro. Quante volte si erano lamentati di quel che gli costava mantenerlo? E pensare che sepolta nelle viscere di Londra c'era da sempre una piccola fortuna che gli apparteneva. Hagrid aiutò Harry a raccogliere un po' di quel bendidio in una borsa. ‘Quelli d'oro sono galeoni’ spiegò. ‘Diciassette falci d'argento fanno un galeone e ventinove zellini fanno un falci: facilissimo no? Bene, questo dovrebbe bastare per un paio di trimestri. Il resto te lo terremo da conto’.
Dopo la pazza corsa di ritorno, rimasero un poco a sbattere le palpebre, accecati dalla luce del sole. Anche se ora aveva una borsa piena zeppa di soldi, Harry non sapeva da dove iniziare a fare i suoi acquisti. Non aveva bisogno di sapere quanti galeoni entravano in una sterlina per capire che disponeva di più denaro di quanto non ne avesse mai avuto in vita sua: più di quanto non ne avesse mai avuto lo stesso Dudley. Una volta fuori dal negozio di Madama McClan, doveve aveva misurato la sua nuova uniforme, Harry chiese: ‘Hagrid, che cos'è il Quidditch?’ ‘Per tutti i gargoyle, Harry. Continuo a dimenticare quanto poco sai... Certo che... non conoscere il Quidditch! ‘Allora, che cos'è il Quiddch? il nostro sport. Lo sport dei maghi. come... come il calcio nel mondo dei Babbani: tutti seguono il Quidditch. Si gioca in aria, cavalcando manici di scopa, e con quattro palle... difficile spiegare le regole’. ‘E che cosa sono Serpeverde e Tassorosso?’ ‘Sono dormitori. A Hogwarts ce ne sono quattro’. Comperarono i libri di testo per Harry in un negozio chiamato Il ghirigoro dove gli scaffali erano stipati fino al soffitto di libri grossi come lastroni di pietra e rilegati in pelle; libri delle dimensioni di un francobollo, foderati in seta; libri pieni di simboli strani e alcuni con le pagine bianche. Anche Dudley, che non leggeva mai niente, avrebbe fatto pazzie per metterci le mani sopra. Hagrid dovette quasi trascinare via Harry da Maledizioni e Contromaledizioni (Stregate gli amici e confondete i nemici con l'ultimo grido delle vendette: caduta dei capelli, gambe di ricotta, lingua legata e molte altre ancora) del professor Vindictus Viridian. ‘Stavo cercando di scoprire come fare un sortilegio a Dudley’. ‘Non dico che non è una buona idea, ma nel mondo dei Babbani non devi usare la magia che in circostanze speciali’ disse Hagrid. ‘E in tutti i modi, ancora non puoi riuscire a vendicarti in nessuna maniera: devi studiare molto di più per arrivare a quel punto’. Hagrid non permise a Harry neanche di comperare un calderone d'oro massiccio (‘Nella lista c'è scritto "peltro"‘), ma acquistarono una graziosa bilancia per pesare gli ingredienti delle pozioni, e un telescopio pieghevole in ottone. Poi andarono in farmacia, luogo talmente interessante da ripagare del pessimo odore che vi regnava, un misto di uova fradice e cavoli marci. Per terra c'erano barili di roba viscida; vasi di erbe officinali, radici secche e polveri dai colori brillanti erano allineati lungo le pareti; fasci di piume, di zanne e artigli aggrovigliati pendevano dal soffitto. Mentre Hagrid chiedeva all'uomo dietro il bancone una provvista di alcuni ingredienti fondamentali per preparare pozioni, Harry esaminava alcuni corni di unicorno in argento, che costavano ventuno galeoni ciascuno, e minuscoli occhi di coleottero di un nero lucente (a cinque zellini la manciata). Una volta fuori della farmacia, Hagrid spuntò di nuovo la lista di Harry. ‘rimasta la bacchetta magica... e non ti ho ancora preso il regalo di compleanno’. Harry arrossì. ‘Ma non devi...’ ‘Lo so che non devo. Ecco che cosa farò: ti regalerò un animale. Non un rospo, i rospi sono passati di moda anni fa, ti riderebbero dietro... e i gatti non mi piacciono, mi fanno starnutire. Ti prenderò un gufo. Tutti i ragazzini vogliono i gufi, sono assai utili, portano la posta e tutto il resto’. Venti minuti dopo, uscivano dall'Emporio del Gufo, un locale buio, pieno di animali che raspavano e frullavano in aria, con gli occhi luccicanti come gemme preziose. Ora Harry trasportava una grossa gabbia che conteneva una bella civetta bianca come la neve, profondamente addormentata con la testa sotto l'ala. Non riusciva a smettere di balbettare ringraziamenti, tanto che sembrava il professor Raptor. ‘Ma di niente!’ rispondeva Hagrid burbero. ‘Non credo che i Dursley ti hanno mai fatto molti regali. E ora ci rimane solo Olivander... è l'unico posto per comprare una bacchetta magica; vai da Olivander, e avrai il meglio, parlando di bacchette’. Bacchette magiche... Harry non vedeva l'ora di possederne una. Quest'ultimo negozio era angusto e sporco. Un'insegna a lettere d'oro scortecciate sopra la porta diceva: Olivander: Fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.. Nella vetrina polverosa, su un cuscino color porpora stinto, era esposta una sola bacchetta. Un lieve scampanellio, proveniente dagli anfratti del negozio non meglio identificati, accolse il loro ingresso. Era un luogo molto piccolo, vuoto, tranne che per una sedia dalle zampe esili su cui Hagrid si sedette, nell'attesa. Harry si sentiva strano, come se fosse entrato in una biblioteca privata. Si rimangiò un mucchio di nuove domande che gli erano appena venute in mente, e invece si mise a guardare le migliaia di scatoline strette strette, tutte impilate in bell'ordine fino al soffitto. Chissà perché, sentiva un pizzicorino alla nuca. Persino la polvere e il silenzio di quel luogo sembravano fremere di una segreta magia. ‘Buon pomeriggio’ disse una voce sommessa. Harry fece un balzo e lo stesso dovette fare Hagrid, perché si sentì un forte scricchiolio e lui si affrettò ad alzarsi dalla sedia. Avevano di fronte un uomo anziano con occhi grandi e scoloriti che illuminavano la penombra del negozio come due astri lunari. ‘Salve’ disse Harry imbarazzato. ‘Ah, sì’ disse l'uomo. ‘Sì, sì, sì, ero sicuro che l'avrei conosciuto presto. Harry Potter’. Non era una domanda. ‘Ha gli occhi di sua madre. Sembra ieri che è venuta qui a comperare la sua prima bacchetta magica. Lunga dieci pollici e un quarto, sibilante, di salice. Una bella bacchetta per un lavoro d'incanto’. Mr Olivander si avvicinò a Harry. Quest'ultimo avrebbe dato chissà che cosa per vedergli abbassare le palpebre. Quegli occhi d'argento gli facevano venire la pelle d'oca. ‘Suo padre, invece, preferì una bacchetta di mogano. Undici pollici. Flessibile. Un po' più potente e ottima per la trasfigurazione. Be', ho detto che suo padre l'aveva preferita... ma in realtà, è la bacchetta a scegliere il mago, naturalmente’. Mr Olivander si era fatto talmente vicino da toccare quasi il naso di Harry, che si vedeva riflesso in quegli occhi velati. ‘Ed è qui che...’ Mr Olivander toccò con un dito lungo e bianco la cicatrice a forma di saetta sulla fronte di Harry. ‘Mi spiace dire che sono stato io a vendere la bacchetta che ha fatto questo’ disse con un filo di voce. ‘Tredici pollici e mezzo. Sì. Una bacchetta potente, molto potente, nelle mani sbagliate... Bene, se avessi saputo che cosa sarebbe andata a fare per il mondo...’ Scosse la testa e poi, con grande sollievo di Harry, si accorse di Hagrid. ‘Rubeus! Rubeus Hagrid! Che piacere rivederti! Quercia, sedici pollici, piuttosto flessibile; non era così?’ ‘Azzecato, signore’ disse Hagrid. ‘Una bella bacchetta quella. Ma suppongo che l'abbiano spezzata a
metà quando ti hanno espulso, vero?’ chiese Mr Olivander, facendosi serio d'un tratto. ‘Ehm... sì, signore, proprio così’ rispose Hagrid spostando il peso del corpo da un piede all'altro. ‘Però conservo ancora le due metà’ aggiunse vivacemente. ‘Ma non le usi, vero?’ chiese Mr Olivander con fare inquisitorio. ‘Oh, no, signore’ si affrettò a rispondere Hagrid. Harry notò che, nel parlare, si stringeva forte forte al suo ombrello rosa. ‘Ehm, vediamo’ disse Mr Olivander lanciando a Hagrid un'occhiata penetrante. ‘Allora, Mr Potter, vediamo un po'‘ e tirò fuori dalla tasca un lungo metro a nastro con le tacche d'argento. ‘Qual è il braccio con cui usa la bacchetta?’ ‘Signore, uso la mano destra’ rispose Harry. ‘Alzi il braccio. Così’. Misurò il braccio di Harry dalla spalla alla punta delle dita, poi dal polso al gomito, dalla spalla a terra, dal ginocchio all'ascella e poi prese anche la circonferenza della testa. E intanto diceva: ‘Ogni bacchetta costruita da Olivander ha il nucleo fatto di una potente sostanza magica, Mr Potter. Usiamo peli di unicorno, penne della coda della fenice e corde del cuore di draghi. Non esistono due bacchette costruite da Olivander che siano uguali, così come non esistono due unicorni, due draghi o due fenici del tutto identici. E naturalmente, non si ottengono mai risultati altrettanto buoni con la bacchetta di un altro mago’. All'improvviso, Harry si accorse che il metro a nastro, che gli stava misurando la distanza fra le narici, stava facendo tutto da solo. Mr Olivander, infatti, volteggiava tra gli scaffali, tirando giù scatole. ‘Può bastare così’ disse, e il metro a nastro si afflosciò sul pavimento. ‘Allora, Mr Potter, provi questa. Legno di faggio e corde di cuore di drago. Nove pollici. Bella flessibile. La prenda e la agiti in aria’. Harry prese la bacchetta e, sentendosi un po' sciocco, la agitò debolmente, ma Mr Olivander gliela strappò quasi subito di mano. ‘Acero e piume di fenice. Sette pollici. Molto flessibile. La provi’. Harry la provò, ma ancora una volta, non aveva fatto in tempo ad alzarla che Mr Olivander gli strappò di mano anche quella. ‘No, no... ecco, ebano e peli di unicorno, otto pollici e mezzo, elastica. Avanti, avanti, la provi’. Harry provò, provò ancora. Non aveva idea di che cosa cercasse Mr Olivander. Le bacchette si stavano ammucchiando sulla sedia, ma più Mr Olivander ne tirava fuori dagli scaffali, più sembrava felice. ‘Un cliente difficile, eh? No, niente paura, troveremo quella che va a pennello... Ora, mi chiedo... sì, perché no... combinazione insolita... agrifoglio e piume di fenice, undici pollici, bella flessibile’. Harry la prese in mano. Avvertì un calore improvviso alle dita. La alzò sopra la testa, la abbassò sferzando l'aria polverosa e una scia di scintille rosse e d'oro si sprigionò dall'estremità come un fuoco d'artificio, proiettando sulle pareti minuscoli riflessi danzanti di luce. Hagrid gridò d'entusiasmo e batté le mani e Mr Olivander esclamò: ‘Bravo! Sì, proprio così, molto bene. Bene, bene, bene... che strano... ma che cosa davvero strana...’ Rimise la bacchetta di Harry in una scatola e la avvolse in carta da pacchi sempre borbottando: ‘Ma che strano... davvero strano’. ‘Scusi’ fece Harry, ‘ma che cosa c'è di strano?’ Mr Olivander lo fissò con i suoi occhi sbiaditi. ‘Ricordo una per una tutte le bacchette che ho venduto, Mr Potter. Una per una. Si dà il caso che la fenice dalla cui coda proviene la piuma della sua bacchetta abbia prodotto un'altra piuma, una sola. E' veramente molto strano che lei sia destinato a questa bacchetta, visto che la sua gemella... sì, la sua gemella le ha procurato quella ferita’. Harry deglutì. ‘Sì, tredici pollici e mezzo. Legno di tasso. Curioso come accadano queste cose. la bacchetta che sceglie il mago, lo ricordi. Credo che da lei dobbiamo aspettarci grandi cose, Mr Potter... Dopo tutto, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato ha fatto grandi cose... terribili, è vero, ma grandi’. Harry rabbrividì. Non era certo di trovare molto simpatico quel Mr Olivander. Pagò sette galeoni d'oro per la sua bacchetta, e mentre uscivano, Mr Olivander li salutò con un inchino da dentro il negozio. Era ormai pomeriggio avanzato e il sole era basso sull'orizzonte quando Harry e Hagrid si misero sulla via del ritorno ripercorrendo Diagon Alley, riattraversarono il muro, fino al Paiolo magico, ormai deserto.

domenica 10 aprile 2016

Harry Potter e La pietra Filosofale - Il cappello Parlante e L'inizio della nostra storia (I incontro - sab. 2 aprile)

Ciao a tutti, Piccoli Lettori!
come molti di voi sanno, lo scorso sabato 2 aprile abbiamo finalmente ricominciato ad incontrarci in biblioteca per i nostri bei momenti di gioco e lettura. Abbiamo cominciato a raccontare dal principio la misteriosa e affascinante storia di Harry Potter. Abbiamo parlato di com'è nata questa saga di avventura e magia e abbiamo spiegato chi è questo Maghetto e che cosa gli è accaduto, per poi leggere insieme alcuni passi scelti tratti dal libro Harry Potter e la pietra filosofale.
Speriamo vivamente che visiate divertiti (anche se, lo ammettiamo, abbiamo giocato poco perché quel vecchione del cappello parlante ci ha messo una vita a smistare ciascuno di voi nella propria casa). Ma ora che siete ognuno parte di una casa, che siate, Grifondoro, Serpeverde oppure Tassorosso o ancora Corvonero, non importa, perché il divertimento (e la Magia) sono assicurati!
Qui a seguire vi lasciamo i brani che abbiamo letto insieme durante il primo incontro, per tutti coloro che vogliano dare uno sguardo o rinfrescarsi la memoria e prepararsi al prossimo incontro (che si terrà sempre in biblioteca sabato 16 aprile)..
Dunque... Buon divertimento e Buona Lettura!


Il Bambino Sopravvissuto

Mr e Mrs Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano
perfettamente normali, e grazie tante. Erano le ultime persone al mondo da cui aspettarsi che
avessero a che fare con cose strane o misteriose, perché sciocchezze del genere proprio non le
approvavano. Mr Dursley era direttore di una ditta di nome Grunnings, che fabbricava trapani. Era
un uomo corpulento, nerboruto, quasi senza collo e con un grosso paio di baffi. Mrs Dursley era
magra, bionda e con un collo quasi due volte più lungo del normale, il che le tornava assai utile,
dato che passava gran parte del tempo ad allungarlo oltre la siepe del giardino per spiare i vicini. I
Dursley avevano un figlioletto di nome Dudley e secondo loro non esisteva al mondo un bambino
più bello. Possedevano tutto quel che si poteva desiderare, ma avevano anche un segreto, e il loro
più grande timore era che qualcuno potesse scoprirlo. Non credevano che avrebbero potuto
sopportare che qualcuno venisse a sapere dei Potter. Mrs Potter era la sorella di Mrs Dursley, ma
non si vedevano da anni. Anzi, Mrs Dursley faceva addirittura finta di non avere sorelle, perché
Mrs Potter e quel buono a nulla del marito non avrebbero potuto essere più diversi da loro di così.
I Dursley rabbrividivano al solo pensiero di quel che avrebbero detto i vicini se i Potter si fossero
fatti vedere nei paraggi. Sapevano che i Potter avevano anche loro un figlio piccolo, ma non lo avevano mai visto. E il ragazzino era un'altra buona ragione per tenere i Potter a distanza: non volevano che Dudley frequentasse un bambino di quel genere.

Se Mr Dursley era scivolato in un sonno agitato, il gatto, seduto sul muretto di fuori, non dava alcun segno di aver sonno. Sedeva immobile come una statua, con gli occhi fissi e senza batter ciglio sull'angolo opposto di Privet Drive. E non ebbe il minimo soprassalto neanche quando, nella strada accanto, la portiera di una macchina sbatté forte, né quando due gufi gli sfrecciarono sopra la testa. Dovette farsi quasi mezzanotte prima che il gatto facesse il minimo movimento. Un uomo apparve all'angolo della strada che il gatto aveva tenuto d'occhio; ma apparve così all'improvviso e silenziosamente che si sarebbe detto fosse spuntato da sotto terra. La coda del gatto ebbe un guizzo e gli occhi divennero due fessure. In Privet Drive non s'era mai visto niente di simile. Era alto, magro e molto vecchio, a giudicare dall'argento dei capelli e della barba, talmente lunghi che li teneva infilati nella cintura. Indossava abiti lunghi, un mantello color porpora che strusciava per terra e stivali dai tacchi alti con le fibbie. Dietro gli occhiali a mezzaluna aveva due occhi di un azzurro chiaro, luminosi e scintillanti, e il naso era molto lungo e ricurvo, come se fosse stato rotto almeno due volte. L'uomo si chiamava Albus Silente. Si dava un gran da fare a rovistare sotto il mantello, in cerca di qualcosa. Sembrò invece rendersi conto di essere osservato, perché all'improvviso guardò il gatto, che lo stava ancora fissando dall'estremità opposta della strada. Per qualche ignota ragione, la vista del gatto sembrò divertirlo. Ridacchiò tra sé borbottando: ‘Avrei dovuto immaginarlo’. Aveva trovato quel che stava cercando nella tasca interna del mantello. Sembrava un accendino d'argento. Lo aprì con uno scatto, lo tenne sollevato e lo accese. Il lampione più vicino si fulminò con un piccolo schiocco. L'uomo lo fece scattare di nuovo, e questa volta si fulminò il lampione appresso. Dodici volte fece scattare quel suo ‘Spegnino’, fino a che l'unica illuminazione rimasta in tutta la strada furono due capocchie di spillo in lontananza: gli occhi del gatto che lo fissavano. Se in quel momento qualcuno - perfino quell'occhio di lince di Mr Dursley - avesse guardato fuori della finestra, non sarebbe riuscito a vedere niente di quel che accadeva in strada. Silente si fece scivolare di nuovo nella tasca del mantello il suo ‘Spegnino’ e si incamminò verso il numero 4 di Privet Drive, dove si mise a sedere sul muretto, accanto al gatto. Non lo guardò, ma dopo un attimo gli rivolse la parola. ‘Che combinazione! Anche lei qui, professoressa Mcgranitt?’ Si voltò verso il soriano con un sorriso, ma quello era scomparso. Al suo posto, davanti a lui c'era una donna dall'aspetto piuttosto severo, che portava un paio di occhiali squadrati della forma identica ai segni che il gatto aveva intorno agli occhi. Anche lei indossava un mantello, ma color smeraldo. I capelli neri erano raccolti in uno chignon. Aveva l'aria decisamente scombussolata. ‘Come faceva a sapere che ero io?’ chiese. ‘Ma, mia cara professoressa, non ho mai visto un gatto seduto in una posa così rigida’.  ‘Anche lei sarebbe rigido se fosse rimasto seduto tutto il giorno su un muretto di mattoni’ rimbeccò la professoressa Mcgranitt.  ‘Tutto il giorno? Quando invece avrebbe potuto festeggiare? Venendo qui mi sono imbattuto in una decina e più di feste e banchetti’.  La professoressa Mcgranitt tirò su rabbiosamente col naso.  ‘Eh già, sono proprio tutti lì che festeggiano’ disse con tono impaziente. ‘Ci si sarebbe potuti aspettare che fossero un po' più prudenti, macché... anche i Babbani hanno notato che sta succedendo qualcosa. Lo hanno detto ai loro telegiornali’. ‘Non gli si può dar torto’ disse Silente con dolcezza. ‘Per undici anni abbiamo avuto ben poco da festeggiare’.  ‘Lo so, lo so’ disse la professoressa Mcgranitt in tono irritato. ‘Ma non è una buona ragione per perdere la testa. Stanno commettendo una vera imprudenza, a girare per la strada in pieno giorno senza neanche vestirsi da Babbano, e scambiandosi indiscrezioni’. A quel punto, lanciò a Silente un'occhiata obliqua e penetrante, sperando che lui dicesse qualcosa; ma così non fu. Allora continuò: ‘Sarebbe un bel guaio se, proprio il giorno in cui sembra che Lei-Sa-Chi sia finalmente scomparso, i Babbani dovessero venire a sapere di noi. Ma siamo proprio sicuri che se n'è andato, Silente?’ Sembra proprio di sì’ rispose questi. ‘Dobbiamo essere molto grati. Le andrebbe un ghiacciolo al limone?’ ‘Un che?’ ‘Un ghiacciolo al limone. un dolce che fanno i Babbani: io ne vado matto’. ‘No grazie’ rispose freddamente la professoressa Mcgranitt, come a voler dire che non era il momento dei ghiaccioli. ‘Come dicevo, anche se Lei-Sa-Chi se ne è andato veramente...’  ‘Mia cara professoressa, una persona di buonsenso come lei potrebbe decidersi a chiamarlo anche per nome!! Tutte queste allusioni a "Lei-Sa-Chi" sono una vera stupidaggine... Sono undici anni che cerco di convincere la gente a chiamarlo col suo vero nome: Voldemort’. La professoressa Mcgranitt trasalì, ma Silente, che stava scartando un ghiacciolo al limone, sembrò non farvi caso. ‘Crea tanta di quella confusione continuare a dire "Lei-Sa-Chi". Non ho mai capito per quale ragione bisognasse avere tanta paura di pronunciare il nome di Voldemort’.  ‘Io lo so bene’ disse la professoressa Mcgranitt, in tono a metà fra l'esasperato e l'ammirato. ‘Ma per lei è diverso. Lo sanno tutti che lei è il solo di cui Lei-Sa... oh, d'accordo: Voldemort... aveva paura’.  ‘Lei mi lusinga’ disse Silente con calma. ‘Voldemort aveva poteri che io non avrò mai’.  ‘Soltanto perché lei è troppo... troppo nobile per usarli’.  ‘Meno male che è buio. Non arrossivo tanto da quella volta che Madama Chips mi disse quanto le piacevano i miei nuovi paraorecchi’.  La professoressa Mcgranitt scoccò a Silente un'occhiata penetrante, poi disse: ‘I gufi sono niente in confronto alle voci che sono state messe in giro. Sa che cosa dicono tutti? Sul perché è scomparso? Su quel che l'ha fermato una buona volta?’  Sembrava che la professoressa Mcgranitt avesse toccato il punto che più le premeva di discutere, la vera ragione per cui era rimasta in attesa tutto il giorno su quel muretto freddo e duro, perché mai - né da gatto né da donna - aveva fissato Silente con uno sguardo così penetrante. Era chiaro che qualsiasi cosa ‘tutti’ mormorassero, lei non l'avrebbe creduto sin quando Silente non le avesse detto che era vero. Ma lui era occupato col suo ghiacciolo al limone, e non rispose.  ‘Quel che vanno dicendo’ incalzò lei, ‘è che la notte scorsa Voldemort è spuntato fuori a Goldrick's Hollow. andato a trovare i Potter. Corre voce che Lily e James Potter siano... siano... insomma, siano morti’.  Silente chinò la testa. La professoressa Mcgranitt ebbe un piccolo singhiozzo.  ‘Lily e James... Non posso crederci... Non volevo crederci... Oh, Albus...’  Silente allungò la mano e le batté un colpetto sulla spalla. ‘Lo so... lo so...’ disse gravemente.  La Mcgranitt proseguì con voce tremante: ‘E non è tutto. Dicono che ha anche cercato di uccidere il figlio dei Potter, Harry. Ma che... non c'è riuscito. Quel piccino, non è riuscito a ucciderlo. Nessuno  perché né come, ma dicono che quando Voldemort non ce l'ha fatta a uccidere Harry Potter, in qualche modo il suo potere è venuto meno... ed è per questo che se n'è andato’.  Silente annuì malinconicamente.  ‘è vero?’ balbettò la professoressa Mcgranitt. ‘Dopo tutto quel che ha fatto... dopo tutti quelli che ha ammazzato... non è riuscito a uccidere un bambino indifeso? strabiliante... di tutte le cose che avrebbero potuto fermarlo... Ma in nome del cielo, come ha fatto Harry a sopravvivere?’  ‘Possiamo solo fare congetture’ disse Silente. ‘Forse non lo sapremo mai’.  La professoressa McGranitt tirò fuori un fazzoletto di trina e si asciugò gli occhi dietro gli occhiali. Con un profondo sospiro, Silente estrasse dalla tasca un orologio d'oro e lo esaminò. Era un orologio molto strano. Aveva dodici lancette, ma al posto dei numeri c'erano alcuni piccoli pianeti che si muovevano lungo il bordo del quadrante. Evidentemente Silente lo sapeva leggere, perché lo ripose di nuovo nella tasca e disse: ‘Hagrid è in ritardo. A proposito, suppongo sia stato lui a dirle che sarei venuto qui’.  ‘Sì’ rispose la McGranitt, ‘anche se non credo che lei mi dirà perché mai, di tanti posti, abbia scelto proprio questo’.  ‘Sono venuto a portare Harry dai suoi zii. Sono gli unici parenti che gli rimangono’.  ‘Non vorrà mica dire... Non saranno mica quei due che abitano lì!’ esclamò la Mcgranitt balzando in piedi e indicando il numero 4. ‘Silente... non è possibile! E' tutto il giorno che li osservo. Non avrebbe potuto trovare persone più diverse da noi. E poi quel ragazzino che hanno... l'ho visto prendere a calci sua madre per tutta la strada, urlando che voleva le caramelle! Harry Potter... venire ad abitare qui?’.  ‘il posto migliore per lui’ disse Silente con fermezza. ‘La zia e lo zio potranno spiegargli tutto quando sarà più grande. Ho scritto loro una lettera’.  ‘Una lettera?’ gli fece eco la Mcgranitt con un filo di voce, tornando a sedersi sul muretto. ‘Ma davvero, Silente, crede di poter spiegare tutto questo per lettera? Questa gente non capirà mai Harry Potter. Lui diventerà famoso... leggendario! Non mi stupirebbe se in futuro la giornata di oggi venisse designata come la festa di Harry Potter. Su di lui si scriveranno volumi, tutti i bambini del mondo conosceranno il suo nome!’  ‘Proprio così’ disse Silente fissandola tutto serio da sopra gli occhiali a mezzaluna. ‘Ce ne sarebbe abbastanza per far girare la testa a qualsiasi ragazzo. Famoso prima ancora di parlare e di camminare! Famoso per qualcosa di cui non avrà conservato neanche il ricordo! Non riesce a capire quanto starà meglio, se crescerà lontano da tutto questo fino al giorno in cui sarà pronto per reggerlo?’  La professoressa Mcgranitt aprì bocca per rispondere, poi cambiò idea, inghiottì e disse: ‘Sì... sì, lei ha ragione, naturalmente. Ma in che modo arriverà qui il ragazzo?’. ‘Lo porterà Hagrid’.  ‘E a lei pare... saggio... affidare a Hagrid un compito tanto importante?’  ‘Affiderei a Hagrid la mia stessa vita’ disse Silente.  ‘Ma cosa è stato?’  Il silenzio che li circondava era stato lacerato da un rombo cupo. Mentre Silente e la Mcgranitt percorrevano con lo sguardo la stradina per vedere se si avvicinassero dei fari, il rumore si fece sempre più forte, fino a diventare un boato. Entrambi levarono lo sguardo al cielo e dall'aria piovve una gigantesca motocicletta che atterrò sull'asfalto proprio davanti a loro. Pur colossale com'era, la moto sembrava niente a confronto con l'uomo che la inforcava. Era alto circa due volte un uomo normale e almeno cinque volte più grosso. Sembrava semplicemente troppo per essere vero, e aveva un aspetto terribilmente selvaggio: lunghe ciocche di ispidi capelli neri e una folta barba gli nascondevano gran parte del volto; ogni mano era grande come il coperchio di un bidone dei rifiuti e i piedi, che calzavano stivali di cuoio, sembravano due piccoli delfini. Tra le braccia immense e muscolose reggeva un involto di coperte.  ‘Hagrid!’ esclamò Silente con tono di sollievo. ‘Finalmente! Ma dove hai preso quel veicolo?’  ‘Un prestito, professor Silente’; e così dicendo, il gigante scese con circospezione dalla motocicletta. ‘Del giovane Sirius Black. Lui ce l'ho qui, signore’.  ‘Ci sono stati problemi?’  ‘No, signore; la casa era distrutta, diciamo, ma io sono riuscito a tirarlo fuori prima che il posto si riempisse di Babbani. Si è addormentato mentre volavamo su Bristol’.  Silente e la Mcgranitt si chinarono sull'involto di coperte. Dentro, appena visibile, c'era un bambino profondamente addormentato. Sotto il ciuffo di capelli corvini che gli spuntava sulla fronte, scorsero un taglio dalla forma bizzarra, simile a una saetta.  ‘E' qui che...’ chiese in un bisbiglio la professoressa Mcgranitt.  ‘Sì’ rispose Silente. ‘Questa cicatrice se la terrà per sempre’.  ‘E lei non può farci niente, Silente?’  ‘Anche se potessi, non lo farei. Le cicatrici possono tornare utili. Anch'io ne ho una, sopra il ginocchio sinistro, che è una piantina perfetta della metropolitana di Londra. Bene... Dammelo qua, Hagrid; vediamo di concludere’.  Silente prese Harry tra le braccia e si voltò verso la casa dei Dursley.  ‘Posso... posso fargli un salutino, signore?’ chiese Hagrid.  Chinò la grossa e ispida testa su Harry e gli dette un bacio rasposo per via di tutto quel pelo. Poi, d'un tratto, emise un ululato come di cane ferito.  ‘Shhh!’ sibilò la Mcgranitt. ‘Sveglierai i Babbani!’  ‘S-s-s-scusatemi...’ singhiozzò Hagrid tirando fuori un immenso fazzoletto tutto chiazzato e tuffandoci il viso dentro, ‘ma proprio -n-non ce la faccio... Lily e James morti... e il povero piccolo Harry che se ne va a vivere con i Babbani...’.  ‘Sì, certo, è molto triste, ma vedi di controllarti, Hagrid, o ci scopriranno’ sussurrò la Mcgranitt battendogli con cautela un colpetto sul braccio mentre Silente, scavalcando il basso muricciolo del giardino, si avviava verso la porta d'ingresso. Depose dolcemente Harry sul gradino, tirò fuori dal mantello una lettera, la ripose tra le coperte che avvolgevano Harry e tornò verso gli altri due. Per un lungo minuto i tre rimasero lì a guardare quel fagottino; Hagrid era scosso dai singhiozzi, la professoressa Mcgranitt non faceva che battere le palpebre, e lo scintillio che normalmente emanava dagli occhi di Silente sembrava svanito.  ‘Be'‘ disse infine Silente, ‘ecco fatto. Non c'è più ragione che restiamo qui. Tanto vale che andiamo a prender parte ai festeggiamenti’.  ‘Già’ disse Hagrid con voce soffocata ‘allora io riporto la moto a Sirius. 'Notte, professoressa Mcgranitt. Professor Silente, i miei rispetti’.  Asciugandosi gli occhi inondati di lacrime con la manica della giacca, Hagrid si rimise a cavalcioni della motocicletta e accese il motore; si sollevò in aria con un rombo e sparì nella notte.  ‘Penso che ci rivedremo presto, professoressa Mcgranitt’ disse Silente facendole un cenno col capo. Per tutta risposta, lei si soffiò il naso.  Silente si voltò e si avviò lungo la strada. Giunto all'angolo, si fermò ed estrasse il suo ‘Spegnino’ d'argento. Uno scatto, e dodici sfere luminose si riaccesero di colpo nei lampioni, illuminando Privet Drive di un bagliore aranciato. A quel chiarore scorse un gatto soriano che se la svignava dietro l'angolo all'altro capo della strada. Da quella distanza vedeva appena il mucchietto di coperte sul gradino del numero 4.  ‘Buona fortuna, Harry’ mormorò. Poi girò sui tacchi e, con un fruscio del mantello, sparì.  Una lieve brezza scompigliava le siepi ben potate di Privet Drive, che riposava, ordinata e silenziosa, sotto il cielo nero come l'inchiostro. L'ultimo posto dove ci si sarebbe aspettati di veder accadere cose stupefacenti. Sotto le sue coperte, Harry Potter si girò dall'altra parte senza svegliarsi. Una manina si richiuse sulla lettera che aveva accanto e lui continuò a dormire, senza sapere che era speciale, senza sapere che era famoso, senza sapere che di lì a qualche ora sarebbe stato svegliato dall'urlo di Mrs Dursley che apriva la porta di casa per mettere fuori le bottiglie del latte, né che le settimane successive le avrebbe trascorse a farsi riempire di spintoni e pizzicotti dal cugino Dudley... Non poteva sapere che, in quello stesso istante, da un capo all'altro del paese, c'era gente che si riuniva in segreto e levava i calici per brindare ‘a Harry Potter il bambino che è sopravvissuto’.




Il cappello Parlante

La porta si spalancò all'istante. Si vide una strega alta, dai capelli corvini, vestita di verde smeraldo. Aveva un volto molto severo, e il primo pensiero di Harry fu questo: è una persona che bisogna evitare di contrariare.  ‘Ecco qua gli allievi del primo anno, professoressa Mcgranitt’ disse Hagrid.  ‘Grazie, Hagrid. Da qui in avanti li accompagno io’.  Spalancò la porta. La sala d'ingresso era così grande che ci sarebbe entrata comodamente tutta la casa dei Dursley. Le pareti di pietra erano illuminate da torce fiammeggianti come quelle della Gringott, il soffitto era talmente alto che si scorgeva a malapena, e di fronte a loro una sontuosa scalinata in marmo conduceva ai piani superiori. I ragazzi seguirono la professoressa Mcgranitt calpestando il pavimento tutto lastre. Harry udiva il brusio di centinaia di voci provenire da una porta a destra - il resto della scolaresca doveva essere già arrivato - ma la professoressa Mcgranitt condusse quelli del primo anno in una saletta vuota, oltre la sala d'ingresso. Ci si assieparono dentro, molto più pigiati di quanto normalmente avrebbero fatto, guardandosi intorno tutti nervosi.  ‘Benvenuti a Hogwarts’ disse la professoressa Mcgranitt. ‘Il banchetto per l'inizio dell'anno scolastico avrà luogo tra breve, ma prima di prendere posto nella Sala Grande, verrete smistati nei vostri dormitori. Lo Smistamento è una cerimonia molto importante, perché per tutto il tempo che passerete qui a Hogwarts, il vostro dormitorio sarà un po' come la vostra famiglia. Frequenterete le lezioni con i vostri compagni di dormitorio, dormirete nei locali destinati al vostro dormitorio e passerete il tempo libero nella sala di ritrovo del vostro dormitorio. ‘I quattro dormitori si chiamano Grifondoro, Tassorosso, Pecoranera e Serpeverde. Ciascuno ha la sua nobile storia e ciascuno ha sfornato maghi e streghe di prim'ordine. Per il tempo che resterete a Hogwarts, i trionfi che otterrete faranno vincere punti al vostro dormitorio, mentre ogni violazione delle regole gliene farà perdere. Alla fine dell'anno, il dormitorio che avrà totalizzato più punti verrà premiato con una coppa, il che costituisce un grande onore. Spero che ognuno di voi darà lustro al dormitorio cui verrà destinato.  ‘La Cerimonia dello Smistamento inizierà tra pochi minuti, davanti a tutti gli altri studenti. Nell'attesa, vi suggerisco di farvi belli più che potete’.  E così dicendo, i suoi occhi indugiarono per un attimo sul mantello di Neville, che era abbottonato sotto l'orecchio sinistro, e sul naso sporco di Ron. Harry cercò di lisciarsi i capelli nervosamente.  ‘Tornerò non appena saremo pronti per la cerimonia’ disse la professoressa Mcgranitt. ‘Vi prego di attendere in silenzio’.  Uscì dalla stanza. Harry deglutì.  ‘Di preciso, in che modo ci smistano per dormitorio?’ chiese a Ron.  ‘Una specie di prova, credo. Fred ha detto che fa un sacco male, ma penso che stesse scherzando’.  A Harry, il cuore sobbalzò nel petto. Una prova? Di fronte a tutta la scuola? Ma lui, di magia, non sapeva niente... cosa avrebbe dovuto fare? Non si era aspettato niente di simile, quando era arrivato. Si guardò intorno ansioso e vide che tutti gli altri erano terrorizzati quanto lui. Nessuno aveva molta voglia di parlare, tranne Hermione Granger che stava spiattellando a bassa voce, con parlantina inarrestabile, tutti gli incantesimi che aveva imparato, chiedendosi di quale dei tanti avrebbe dovuto servirsi. Harry cercava disperatamente di non ascoltarla. Non era mai stato tanto nervoso in vita sua, mai, neanche quando era tornato a casa con una nota della scuola in cui si diceva che, non si sa come, lui aveva fatto diventare blu la parrucca dell'insegnante. Teneva gli occhi fissi sulla porta. Ormai ogni momento era buono perché la professoressa Mcgranitt tornasse per condurlo verso il suo destino.  Poi accadde una cosa che gli fece fare un salto alto un palmo da terra... Dietro di lui, molti ragazzi gridarono.  ‘Ma che cosa...?’  Si sentì mancare il fiato, e come lui tutti gli altri. Una ventina di fantasmi erano appena entrati nella stanza, attraversando la parete in fondo. Di color bianco perlaceo e leggermente trasparenti, scivolavano per la stanza parlando tra loro e quasi senza guardare gli allievi del primo anno. Sembrava che stessero discutendo. Quello che assomigliava a un monaco piccolo e grasso stava dicendo: ‘Io dico che bisogna perdonare e dimenticare; dobbiamo dargli un'altra possibilità...’  ‘Mio caro Frate, non abbiamo forse dato a Pix tutte le possibilità che meritava? Non fa che gettare discredito sul nostro nome, e poi lo sai, non è neanche un vero e proprio fantasma... Ehi, dico, che cosa ci fate qui?’  Un fantasma in calzamaglia e gorgiera aveva d'un tratto notato gli studenti del primo anno.  Nessuno rispose. ‘Nuovi studenti!’ disse il Frate Grasso abbracciando tutti con un sorriso. ‘In attesa di essere smistati, suppongo’.  Alcuni annuirono in silenzio.  ‘Spero di vedervi tutti a Tassorosso!’ disse il Frate. ‘Sapete? stato il mio dormitorio’.  ‘E ora, sgombrare!’ ordinò una voce aspra. ‘Sta per cominciare la Cerimonia dello Smistamento’.  La professoressa Mcgranitt era tornata. Uno a uno, i fantasmi si dileguarono attraversando la parete di fronte.  ‘Mettetevi in fila e seguitemi’ ordinò la professoressa Mcgranitt agli allievi del primo anno.  Harry, con la strana sensazione che le gambe gli fossero diventate di piombo, si mise in fila dietro a un ragazzo dai capelli color sabbia, e Ron dietro di lui. Uscirono dalla stanza, attraversarono di nuovo la sala d'ingresso, oltrepassarono un paio di doppie porte, ed entrarono nella Sala Grande.  Harry non aveva mai immaginato in vita sua che potesse esistere un posto tanto splendido e sorprendente. Era illuminato da migliaia e migliaia di candele sospese a mezz'aria sopra quattro lunghi tavoli, intorno ai quali erano seduti gli altri studenti. I tavoli erano apparecchiati con piatti e calici d'oro scintillanti. In fondo alla sala c'era un altro tavolo lungo, intorno al quale erano seduti gli insegnanti. Fu lì che la professoressa Mcgranitt accompagnò gli allievi del primo anno, cosicché, sempre tutti in fila, si fermarono davanti agli altri studenti, dando le spalle agli insegnanti. Alla luce tremula delle candele, le centinaia di facce che li guardavano sembravano tante pallide lanterne. Qua e là, tra gli studenti, i fantasmi punteggiavano la sala come velate luci argentee. Soprattutto per evitare tutti quegli occhi che li fissavano, Harry alzò lo sguardo in alto e vide un soffitto di velluto nero trapunto di stelle. Udì Hermione bisbigliare: ‘per magia che somiglia al cielo di fuori! L'ho letto in Storia di Hogwarts’.  Era addirittura difficile credere che ci fosse un soffitto, e che la Sala Grande non si spalancasse semplicemente sul cielo aperto.  Rapidamente Harry abbassò di nuovo lo sguardo, mentre la professoressa Mcgranitt, senza fare rumore, collocava uno sgabello a quattro gambe davanti agli allievi del primo anno. Sopra lo sgabello mise un cappello a punta, da mago. Era un vecchio cappello tutto rattoppato, consunto e pieno di macchie. Zia Petunia non avrebbe permesso neanche di farlo entrare in casa.  Forse sarebbe stato chiesto loro di estrarne un coniglio, pensò Harry tutto emozionato. Sembrava proprio il genere di cosa che... poi, notando che tutti, nella sala, stavano fissando il cappello, fece altrettanto. Per qualche secondo regnò il silenzio più assoluto. Poi il cappello si contrasse. Uno strappo vicino al bordo si spalancò come una bocca, e lui cominciò a cantare:
Forse pensate che non son bello,
ma non giudicate da quel che vedete io ve lo giuro che mi scappello
se uno più bello ne troverete.
Potete tenervi le vostre bombette i vostri cilindri lucidi e alteri,
son io quello che al posto vi mette e al mio confronto gli altri son zeri.
Non c'è pensiero che nascondiate che il mio potere non sappia vedere,
quindi indossatemi ed ascoltate qual è la casa in cui rimanere
forse Grifondoro la vostra via, culla dei coraggiosi di cuore:
audacia, fegato, cavalleria fan di quel luogo uno splendore.
O forse è a Tassorosso la vostra vita, dove chi alberga è giusto e leale:
qui la pazienza regna infinita e il duro lavoro non è innaturale.
Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio, se siete svegli e pronti di mente,
ragione e sapienza qui trovan linguaggio che si confà a simile gente.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei, voi troverete gli amici migliori
quei tipi astuti e affatto babbei che qui raggiungono fini ed onori!
Venite dunque senza paure E mettetemi in capo all'istante
Con me sarete in mani sicure Perché io sono un Cappello Parlante!
Non appena ebbe terminato la sua filastrocca, tutta la sala scoppiò in un applauso fragoroso. Il cappello fece un inchino a ciascuno dei quattro tavoli e poi tornò immobile.  ‘Allora dobbiamo semplicemente provare il cappello!’ sussurrò Ron a Harry. ‘Giuro che Fred lo ammazzo: non ha fatto che parlare di una gara di lotta libera!’  Harry sorrise debolmente. Sì, indossare il cappello era molto meglio che dover fare un incantesimo, ma gli sarebbe piaciuto che la cosa avvenisse in separata sede, non sotto gli occhi di tutti. Sembrava che il cappello chiedesse molto; al momento, Harry non si sentiva né coraggioso, né intelligente né altro. Se solo il cappello avesse nominato un dormitorio per gente che si sentiva poco sicura di sé, quello sarebbe stato il posto giusto per lui.  A quel punto, la professoressa Mcgranitt si fece avanti tenendo in mano un lungo rotolo di pergamena.  ‘Quando chiamerò il vostro nome, voi metterete il cappello in testa e vi siederete sullo sgabello per essere smistati.