Siamo nell’America centrale, all’interno
di un grande territorio che comprende l’intero Guatemala, una parte del
Salvador occidentale, parte dell’Hondura e gli stati messicani dello Yucatan,
del Campehe, di Chiapas, di tabasco. Qui sono vissuti i Maya e qui nei
monumentali resti, il più delle volte celati dall foreste, è possibile rivivere
la loro storia. La civiltà Maya, giunta la popolazione in queste terre già nel
terzo millennio a.C., si sviluppa nei secoli e vive il suo massimo splendore
tra il 300 e il 900 d.C., proprio mentre l’Europa attraversa i cosiddetti
secoli bui del medioevo. Dopo la conquista da parte di un popolo straniero, i
maya riescono a recuperare la propria indipendenza, ma in tribù divise: I
Quiché e i Cakchiquel, poco prima che i conquistadores europei facciano la loro
comparsa in quei territori.
I maya avevano elaborato il Popul Vhul,
un testo per lungo tempo tramandato oralmente, poi trascritto, che racconta le
origini del loro popolo e più ingenerale l’origine del mondo. L’opera è assai
complessa e viene ancora oggi tramandata di generazione in generazione. La
trascrizione si deve ad un saggio quiché che utilizzò la sua lingua, servendosi
tuttavia dei caratteri latini. Oltre ai maya, anche altri gruppi sociali, che
avevano messo a punto sistemi di relazione meno complessi, popolavano il centro
e il Sud America: sono quelli che vivevano e vivono tuttora nella foresta
amazzonica, nella cordigliera delle Ande, nella Terra del Fuoco.
Il mito maya della creazione del mondo e dell'uomo
In
un antico popolo che vive nell'America centrale discendente dagli
antichi Maya, si narra che all'alba del tempo tutto era immobile e silenzioso, la
distesa del cielo era vuota: non c'era
ancora nessuno. Non c'era niente, niente che stesse in piedi. Esisteva solo il
cielo e il mare calmo. Nell'acqua, circondati dal chiarore e nascosti sotto
piume verdi e azzurre, c'erano il Creatore, che si chiamava Tepeu, il
Formatore, Gucumatz e i Progenitori.
Questi dei una notte si riunirono, parlarono e decisero che quando fosse
spuntata l'alba avrebbero cominciato la creazione del mondo. Decisero cioè di
formare il mondo, di far nascere la vita, di far crescere alberi e cespugli e
infine di dar vita all'uomo. Questo venne deciso dagli dei nelle tenebre della
notte. “Facciamo così, dissero, riempiamo il vuoto, ritiriamo quest'acqua e
facciamo sorgere la terra! E ora si faccia
chiaro, l'alba illumini il cielo e la terra!”.
“Terra!” Dissero gli dei e in un attimo
la terra fu fatta. Solamente per un prodigio, per arte magica, si compì la
formazione delle montagne e delle valli
e in un attimo, dalla superficie della terra, scaturirono insieme boschi di
cipressi e di pini. Quando apparvero le alte montagne, le acque si divisero e i
ruscelli cominciarono a scorrere liberamente fra le colline. Fatto questo, gli
dei crearono gli animali piccoli della foresta, i leoni, le tigri, i serpenti.
Poi vennero creati i cervi e gli uccelli. “Voi cervi starete fra le erbe,
camminerete su quattro piedi e dormirete nelle pianure lungo i fiumi”, ordinarono gli dei. Agli uccelli
dissero: “Voi uccelli abiterete sugli alberi e sui cespugli, lì farete i vostri
nidi e vi muoverete”. Compiuta la creazione di tutti i quadrupedi e di tutti
gli uccelli gli dei dissero loro: “Parlate, adesso, gridate, chiamate! Dite i
nostri nomi, lodateci, invocateci!”. Ma gli dei non riuscirono a ottenere che
gli animali parlassero e che li ringraziassero per averli creati: strillavano,
invece, ruggivano, gracchiavano, fischiavano, muggivano, ciascuno con il loro
linguaggio che era incomprensibile. Quando gli dei videro che non era possibile
farli parlare tornarono dagli animali e dissero loro: “Visto che non siamo
riusciti a farvi parlare, vi cambieremo il vostro cibo, il vostro pascolo, la
vostra casa e i vostri nidi saranno i boschi e le montagne. Non ci avete
adorati né ci avete invocati, perciò le vostre carni serviranno da cibo a altri
animali. Creeremo altri esseri che ci ubbidiranno e ci adoreranno”.
“È vicino il tempo della luce, dobbiamo
dare vita a qualcuno che sappia pronunciare il nostro nome” dissero Hurkam,
Cuore del Cielo, e il dio Tepeu Gucumatz. Con acqua e argilla modellarono gli
uomini, ma questi erano molli e informi, con la testa ciondolante e privi di
forze nelle braccia e nelle gambe; parlavano, sì, ma non pensavano e
soprattutto non sapevano invocare gli dei. Subito allora li sciolsero nelle
acque del mare e cercarono una soluzione migliore. Si rivolsero a Ixpiyacoc, il
dio sole opossum, e a Ixmucane, il dio sole coyote che così si pronunciarono:
“è bene che gli uomini siano intagliati nel legno, più forte e resistente
dell’argilla”. Così fu fatto, e gli uomini di legno popolarono il mondo,
riproducendosi, ma nemmeno loro seppero pronunciare il nome degli dei, perchè
anche loro parlavano ma non pensavano, avevano il corpo, ma non avevano né
sangue né cuore. Huraca, Cuore del Cielo, fece allora sollevare le acque che
inondarono la terra su cui gli uomini vivevano. Il cielo si oscurò, piovve a
lungo e tutti gli esseri umani morirono. Allora la volpe, il coyote, il
pappagallo e il corvo condussero gli dei a Pan Paxil, il paese più ricco della
terra, dove crescevano il mais giallo e il mais bianco. Tapeu Gucumatz modellò
così quattro uomini nuovi con il mais e con il mais fece la loro carne e il
loro sangue; Ixumane preparò pozioni magiche e le mescolò al mais per aumentare
la forza dei muscoli delle loro braccia e delle loro gambe. Belli e ben fatti,
ora gli uomini parlavano e pensavano, vedevano e udivano non solo ciò che era
vicino, ma anche tutto ciò che era lontano sulla terra, nel cielo e nelle acque
e con queste parole si rivolsero agli dei: “Lode agli dei che ci hanno dato
occhi per vedere tutto, orecchie per ubire, bocca per parlare!”.
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