Ciao a tutti Piccoli Lettori!
Anche quest'anno il ciclo di incontri è giunto al termine, non senza un po' di dispiacere da parte delle vostre "maestre" che durante questi otto incontri vi hanno guidato nel mondo della mitologia e si sono affezionate tanto a voi. Per il secondo anno di fila il progetto "Piccoli Lettori Crescono" si è svolto regolarmente e ha riscosso abbastanza successo presso voi bambini; ne siamo molto felici! Per noi volontari del comune di Racconigi sono stati due piccoli grandi successi! Quando abbiamo stilato il progetto di questi incontri, a ottobre 2013 e settembre 2014 non pensavamo certo che a voi Piccoli questo ciclo di lezioni sarebbe piaciuto così tanto e che avreste partecipato così numerosi. Siamo stati ben lieti, infatti, di raccogliere le 120 adesioni quest'anno, e di accogliere una media di 40-50 Piccoli lettori ad ogni incontro.
L'esperienza che abbiamo vissuto insieme è stata estremamente formativa... non per voi Piccoli Lettori, ma per noi maestre! E' stato molto bello riscoprire insieme il mondo delle fiabe e degli antichi miti e insieme il Vostro mondo di bambini. Siamo stati molto felici di vedervi arrivare ogni sabato armati di entusiamo e di voglia di scoprire qualcosa di nuovo, voglia di ascoltarci, ma soprattutto di stare insieme, di fare un percorso insieme. Un percorso che certamente ci ha arricchito tutti, Piccoli Lettori e Grandi Lettori.
Speriamo che tutto il nostro lavoro sia stato da voi apprezzato e che vi siate divertiti almeno un pochino! Ma soprattutto speriamo di rivedervi il prossimo anno.. noi ci impegneremo sicuramente per reiterare il progetto e rinnovarlo con contenuti e modalità sempre nuovi. A proposito... noi volontari del comune di Racconigi saremmo ben contenti di sapere che cosa pensate di Piccoli Lettori, che cosa vi è piaciuto, e anche che cosa non vi è piaciuto, cosa possiamo riproporre nei prossimi cicli e che cosa invece andrebbe migliorato. Potete scriverci cosa ne pensate all'indirizzo e-mail piccolilettori.racconigi@gmail.com oppure lasciare un commento a qualunque post di questo blog. Leggeremo tutto quello che avrete da dirci e risponderemo sicuramente!
Nell'attesa delle vostre e-mail, vi lasciamo il programma completo suddiviso lezione per lezione su questo Blog (che continuerà ad essere aggiornato, non dimenticatevi l'indirizzo perché il prossimo anno continueremo a utilizzarlo!), potete rileggere i brani che abbiamo letto insieme durante i nostri incontri, oppure cercare letture nuove sull'argomento.. noi continueremo a proporvene ancora nei prossimi mesi.
infine vi consiglio di "ripassare" gli argomenti di ogni incontro perché saranno oggetto del Grande Gioco della festa finale! Quindi, mi raccomando, rileggete tutto bene!!!
In attesa di rivederci finalmente alla Festa dei Piccoli Lettori (per sapere QUANDO, COME e DOVE si svolgerà, fate affidamento alla sezione NEWS E NOTIZIE di questo stesso sito), vi salutiamo con un grande abbraccio!
Ciao Piccoli Lettori!
Non smettete MAI di leggere!
Serena
Giada
Chiara L.
Giulio
Chiara C.
(e tutti gli altri volontari che ci hanno assistito in questo bel percorso)
lunedì 2 marzo 2015
Arrivederci piccoli lettori!
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domenica 1 marzo 2015
Incontro VIII - Mitologia delle civiltà precolombiane - Racconto
L’origine del sole e della luna secondo
un antico mito brasiliano
Una volta, tanto tempo fa, Sole se ne
andò a caccia nella foresta e trovò due pappagalli così piccoli che non
sapevano neanche volare. Le loro piume verdi erano talmente belle che il
cacciatore decise di portarseli a casa e di regalarne uno a Luna, il suo
compagno e amico. Ogni giorno Luna e Sole davano da mangiare ai pappagallini e
insegnavano loro una parola nuova, finché gli uccelli diventarono grandi, forti
e capaci di parlare come una persona. Un giorno, un pappagallo disse all’altro:
«Sole e Luna mi fanno davvero pena. Tornano a casa stanchi e non hanno nessuno
che pesti il mais per loro.» Ed ecco, un attimo dopo i due pappagalli si erano
trasformati in ragazze dai lunghi capelli neri: una preparava da mangiare e
l’altra stava di guardia, per paura che arrivasse qualcuno e le vedesse in quel
nuovo aspetto. Verso sera Luna e Sole tornarono dalla caccia, e mentre si
avvicinavano a casa sentirono uno strano rumore: pum-pum, pum-pum...Sole
appoggiò l’orecchio a terra e disse:«Forse sono i passi di un animale che
attraversa la foresta!» Il rumore diventava sempre più forte, sempre più forte,
e quando i due cacciatori furono quasi sulla porta di casa, Luna esclamò: «Non è
un animale! Sembra che qualcuno stia pestando il mais con forza, come se avesse
una gran fretta.»«Hai ragione» disse Sole «in casa dev’esserci qualcuno,
andiamo a vedere.» Ma nel momento stesso in cui entrarono, il rumore cessò: la
capanna era vuota, a parte i due pappagalli appollaiati su un trespolo.
«Guarda!» disse Sole. «Per terra ci sono impronte di piedi, ma chi può averle
lasciate?» «E il mais è pronto» aggiunse Luna. «Chi lo avrà pestato? Qui ci
sono solo i pappagalli, e, anche se volessero, non sarebbero capaci di fare una
cosa simile.» Era proprio un mistero! Per quanto ci pensassero, Sole e Luna non
riuscivano a trovare una soluzione. Il giorno dopo fu lo stesso: prima
sentirono il rumore, poi trovarono le impronte di passi e il mais pestato. E intorno,
nessuno. Allora decisero che avrebbero fatto finta di andare a caccia e si
sarebbero nascosti accanto alle due porte di casa. Così, appena il solito pum,
pum si fosse fatto sentire, si sarebbero precipitati dentro per sorprendere i
misteriosi visitatori. E infatti, dopo un po’, ecco il rumore del bastone che
batteva il mais, ecco voci e risate di ragazze! Sole e Luna entrarono di corsa,
uno da una porta e uno dall’altra. In casa c’erano due bellissime ragazze dai
capelli lucenti, che vedendosi scoperte abbassarono gli occhi.«Ecco chi ci
preparava da mangiare! » disse Sole, rivolto alla più graziosa. «Ma chi siete,
e da dove venite?»«Siamo i pappagalli, non l’hai ancora capito?» rispose la
ragazza. «Ogni mattina ci trasformiamo in esseri umani e pestiamo il vostro
mais, visto che non c’è una moglie a farlo per voi.»«Una moglie? Che buona
idea!» disse Luna. «Non vi piacerebbe sposarci?» Così Sole e Luna si sposarono
con le ragazze-uccello, e siccome la casa era troppo piccola per tutti e
quattro, decisero che Sole e sua moglie l’avrebbero usata di notte, mentre gli
altri due ci avrebbero vissuto durante il giorno.Ed è per questo che non li si
vede mai insieme: perché quando uno se ne sta a casa l’altro va in giro.
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Incontro VIII - Mitologia delle civiltà precolombiane
Siamo nell’America centrale, all’interno
di un grande territorio che comprende l’intero Guatemala, una parte del
Salvador occidentale, parte dell’Hondura e gli stati messicani dello Yucatan,
del Campehe, di Chiapas, di tabasco. Qui sono vissuti i Maya e qui nei
monumentali resti, il più delle volte celati dall foreste, è possibile rivivere
la loro storia. La civiltà Maya, giunta la popolazione in queste terre già nel
terzo millennio a.C., si sviluppa nei secoli e vive il suo massimo splendore
tra il 300 e il 900 d.C., proprio mentre l’Europa attraversa i cosiddetti
secoli bui del medioevo. Dopo la conquista da parte di un popolo straniero, i
maya riescono a recuperare la propria indipendenza, ma in tribù divise: I
Quiché e i Cakchiquel, poco prima che i conquistadores europei facciano la loro
comparsa in quei territori.
I maya avevano elaborato il Popul Vhul,
un testo per lungo tempo tramandato oralmente, poi trascritto, che racconta le
origini del loro popolo e più ingenerale l’origine del mondo. L’opera è assai
complessa e viene ancora oggi tramandata di generazione in generazione. La
trascrizione si deve ad un saggio quiché che utilizzò la sua lingua, servendosi
tuttavia dei caratteri latini. Oltre ai maya, anche altri gruppi sociali, che
avevano messo a punto sistemi di relazione meno complessi, popolavano il centro
e il Sud America: sono quelli che vivevano e vivono tuttora nella foresta
amazzonica, nella cordigliera delle Ande, nella Terra del Fuoco.
Il mito maya della creazione del mondo e dell'uomo
In
un antico popolo che vive nell'America centrale discendente dagli
antichi Maya, si narra che all'alba del tempo tutto era immobile e silenzioso, la
distesa del cielo era vuota: non c'era
ancora nessuno. Non c'era niente, niente che stesse in piedi. Esisteva solo il
cielo e il mare calmo. Nell'acqua, circondati dal chiarore e nascosti sotto
piume verdi e azzurre, c'erano il Creatore, che si chiamava Tepeu, il
Formatore, Gucumatz e i Progenitori.
Questi dei una notte si riunirono, parlarono e decisero che quando fosse
spuntata l'alba avrebbero cominciato la creazione del mondo. Decisero cioè di
formare il mondo, di far nascere la vita, di far crescere alberi e cespugli e
infine di dar vita all'uomo. Questo venne deciso dagli dei nelle tenebre della
notte. “Facciamo così, dissero, riempiamo il vuoto, ritiriamo quest'acqua e
facciamo sorgere la terra! E ora si faccia
chiaro, l'alba illumini il cielo e la terra!”.
“Terra!” Dissero gli dei e in un attimo
la terra fu fatta. Solamente per un prodigio, per arte magica, si compì la
formazione delle montagne e delle valli
e in un attimo, dalla superficie della terra, scaturirono insieme boschi di
cipressi e di pini. Quando apparvero le alte montagne, le acque si divisero e i
ruscelli cominciarono a scorrere liberamente fra le colline. Fatto questo, gli
dei crearono gli animali piccoli della foresta, i leoni, le tigri, i serpenti.
Poi vennero creati i cervi e gli uccelli. “Voi cervi starete fra le erbe,
camminerete su quattro piedi e dormirete nelle pianure lungo i fiumi”, ordinarono gli dei. Agli uccelli
dissero: “Voi uccelli abiterete sugli alberi e sui cespugli, lì farete i vostri
nidi e vi muoverete”. Compiuta la creazione di tutti i quadrupedi e di tutti
gli uccelli gli dei dissero loro: “Parlate, adesso, gridate, chiamate! Dite i
nostri nomi, lodateci, invocateci!”. Ma gli dei non riuscirono a ottenere che
gli animali parlassero e che li ringraziassero per averli creati: strillavano,
invece, ruggivano, gracchiavano, fischiavano, muggivano, ciascuno con il loro
linguaggio che era incomprensibile. Quando gli dei videro che non era possibile
farli parlare tornarono dagli animali e dissero loro: “Visto che non siamo
riusciti a farvi parlare, vi cambieremo il vostro cibo, il vostro pascolo, la
vostra casa e i vostri nidi saranno i boschi e le montagne. Non ci avete
adorati né ci avete invocati, perciò le vostre carni serviranno da cibo a altri
animali. Creeremo altri esseri che ci ubbidiranno e ci adoreranno”.
“È vicino il tempo della luce, dobbiamo
dare vita a qualcuno che sappia pronunciare il nostro nome” dissero Hurkam,
Cuore del Cielo, e il dio Tepeu Gucumatz. Con acqua e argilla modellarono gli
uomini, ma questi erano molli e informi, con la testa ciondolante e privi di
forze nelle braccia e nelle gambe; parlavano, sì, ma non pensavano e
soprattutto non sapevano invocare gli dei. Subito allora li sciolsero nelle
acque del mare e cercarono una soluzione migliore. Si rivolsero a Ixpiyacoc, il
dio sole opossum, e a Ixmucane, il dio sole coyote che così si pronunciarono:
“è bene che gli uomini siano intagliati nel legno, più forte e resistente
dell’argilla”. Così fu fatto, e gli uomini di legno popolarono il mondo,
riproducendosi, ma nemmeno loro seppero pronunciare il nome degli dei, perchè
anche loro parlavano ma non pensavano, avevano il corpo, ma non avevano né
sangue né cuore. Huraca, Cuore del Cielo, fece allora sollevare le acque che
inondarono la terra su cui gli uomini vivevano. Il cielo si oscurò, piovve a
lungo e tutti gli esseri umani morirono. Allora la volpe, il coyote, il
pappagallo e il corvo condussero gli dei a Pan Paxil, il paese più ricco della
terra, dove crescevano il mais giallo e il mais bianco. Tapeu Gucumatz modellò
così quattro uomini nuovi con il mais e con il mais fece la loro carne e il
loro sangue; Ixumane preparò pozioni magiche e le mescolò al mais per aumentare
la forza dei muscoli delle loro braccia e delle loro gambe. Belli e ben fatti,
ora gli uomini parlavano e pensavano, vedevano e udivano non solo ciò che era
vicino, ma anche tutto ciò che era lontano sulla terra, nel cielo e nelle acque
e con queste parole si rivolsero agli dei: “Lode agli dei che ci hanno dato
occhi per vedere tutto, orecchie per ubire, bocca per parlare!”.
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Incontro VII - Mitologia Nativo Americana
Che cos'è il
Grande Spirito?
Nonostante
il credo religioso o spirituale varino molto da tribù a tribù alcuni dei
concetti base esistono nella gran parte di esse: esisteva un "Grande
Spirito" che rappresenta una grande potenza che sosteneva tutta la
creazione. Egli non possiede un carattere né una forma personale, è un'entità
che raccoglie l'essenza di tutte le cose esistenti. Per gli Indiani d'America
tutte le forme di vita interagiscono fra di loro e dipendono le une dalle
altre. Quest'armonia deve essere preservata dagli esseri umani, che devono
trovare la loro via attraverso sogni, visioni o segni.
Il
Grande Spirito (o Grande Mistero) non è un'entità divina che manipola la realtà
e le cose secondo il proprio volere, ma è un'energia onnicomprensiva e
permanente, che lega a sé tutte le cose esistenti. Più che al Dio
Giudeo-Cristiano, rappresenta qualcosa di più simile al Tao cinese.
La
creazione fra i Nativi Americani ~ La Grande Madre
Le
popolazioni nativo americane condividevano la radicata consapevolezza di essere
parte integrante, ma non fondamentale, del mondo (non esiste presso i nativi
americani l’arroganza di delegare all’uomo il posto preponderante nel creato).
Ed è in questo contesto di grande rispetto per la vita e per tutte le sue
manifestazioni che si sviluppò l'idea di una Terra Madre, in grado di generare
non solo gli uomini, ma tutte le creature viventi.
Nei
miti proposti, appartenenti a due popolazioni differenti, il concetto di Grande
Madre è rielaborato in maniera piuttosto simile. Nel mito Figli della Terra,
ideato dagli Apache Jicarilla, la Grande Madre è identificata con la Terra
stessa, che, dopo essere emersa (secondo gli Apache il mondo in principio era
ricoperto d'acqua), ha partorito tutti gli esseri viventi, fino a quel momento
rimasti al suo interno. Al contrario, nel mito della genesi narrato dagli
Okanogan, Dal Corpo di Una Donna, gli esseri viventi sono nati dalla carne, dal
corpo voluttuoso di una donna, la Terra.
-
BRANO DA LEGGERE:
Figli della Terra - (Apache Jicarilla)
Al principio il mondo era interamente
coperto d'acqua. Non vi era terra da nessuna parte; non pianure nè valli nè
colline nè monti. Solo un'immensa distesa d'acqua. Era davvero un luogo
solitario e desolato, immerso nel buoi più assoluto. Non c'era ancora la luce
ma ovunque regnava una fitta oscurità. Allora, al tempo delle origini, tutti
gli esseri viventi erano raccolti nel sottosuolo, in un mondo sotterraneo. Era
quello il luogo dal quale ebbe inizio l'emersione. In quel mondo sotterraneo
tutte le cose avevano vita; gli animali potevano parlare come esseri umani e
anche gli alberi possedevano la virtù della parola. Proprio là, in quel mondo
buio, in quella intensa oscurità che dominava il primordiale universo
sotterraneo, vivevano alle origini gli Apache Jicarilla. Essi non sopportavano
quel buio perenne e cercavano di farsi luce bruciando piume d'aquila. Usando le
piume come fossero torce, i Jicarilla potevano vincere le tenebre di quella che
sembrava una notte senza fine. Non tutti però odiavano la densa oscurità che
regnava nel sottosuolo. Orso, Pantera e Gufo prediligevano il buio e mai
avrebbero voluto vedere la luce. Ben presto questi animali amanti della notte si
scontrarono con tutti gli altri animali e con gli uomini che desideravano
invece la luce del giorno. Ne nacque una violenta lite. Al termine dell'inutile
contesa, decisero di risolvere la disputa con il gioco dei bussolotti. Il
vincitore avrebbe deciso per la luce o per il buio nel sottosuolo. Il gioco
ebbe inizio.
Gazza e Quaglia, che amano molto la
luminosità poichè hanno occhi chiari e vista aguzza, riuscirono subito ad
individuare il bottone che faceva da bussolotto e che gli avversari avevano
nascosto in un piccolo bastone cavo. così vinsero la prima partita e, in
seguito a ciò, già si intravedeva la flebile luce della stella del mattino. A
quel primo chiarore Orso scappò via dileguandosi nell'oscurità di una grotta.
Il gioco continuò e ancora una volta gli animali che amano la luce vinsero
insieme agli esseri umani. subito da Est incominciò a sorgere la luminosità
sempre più chiara e intensa e Pantera, impaurito, si allontanò velocemente
nascondendosi in un anfratto che ancora rimaneva buio. Giocarono ancora e di
nuovo la squadra della luce vinse. L'Est era ormai sempre più illuminato e si
potevano vedere già i primi raggi del sole che annunziavano l'alba imminente.
Stavolta fu Orso Bruno a svignarsela per proteggersi dalla luce incipiente.
Quando gli esseri umani e gli animali amanti del giorno vinsero per la quarta
volta, allora Sole sorse a Est e finalmente le tenebre sotterranee furono
sconfitte. Tutto era illuminato e fu davvero difficile per Gufo scovare un
nascondiglio che lo proteggesse da tanto radioso splendore. Appena Sole fu al
centro del cielo sotterraneo scoprì che nella volta celeste si apriva un grosso
buco. Si affacciò allora a dare un'occhiata e rimase stupito: dall'altra parte
vi era un altro mondo, la nostra terra. Quando riferì alla gente la sua
scoperta vi fu un improvviso clamore, tutti erano eccitati, volevano salire
verso quell'apertura, ma non sapevano come fare. Poi alcuni di essi riuscirono
a trovare della sabbia; era terra colorata di quattro colori diversi: azzurro,
giallo, nero e scintillante. Con questa terra costruirono quattro piccoli
mucchi: uno di terra nera, che posero ad Est, un altro di terra azzurra a Sud,
poi ancora uno di terra gialla ad Ovest ed infine quello di terra scintillante
a Nord. Altre persone pensarono bene di seminare questi piccoli mucchi di terra
con semi e piante di frutta. Altri ancora provvidero ad innaffiarli
prontamente. Ciascuno si dava un gran da fare e tutti aiutavano in qualcosa,
tanta era l'ansia di salire verso il nuovo mondo. Quando furono ben zuppi
d'acqua, i mucchi di sabbia incominciarono a fremere, poi subito si gonfiarono
e all'improvviso incominciarono a crescere a vista d'occhio. Più la gente
versava l'acqua, più diventavano gonfi, sempre più gonfi e ancora più alti. A
mano a mano che i mucchi crescevano, i semi germogliavano e le piantine
andavano trasformandosi in alberi frondosi. Ora i mucchi erano cresciuti come
colline e gli alberi da frutta si ricoprirono di gemme fiorite. Le quattro
colline continuarono a crescere fino a diventare alte come montagne: allora le
frasche si arricchirono di splendidi frutti, bacche mature e succose ciliege.
La montagna cresceva sempre di più e sembrava raggiungere la volta celeste
proprio nel punto in cui si apriva il buco. La gente era felice. Danzava e
cantava mentre il monte diveniva sempre più alto. Tutti speravano di poter
presto emergere dal sottosuolo.
Un giorno due giovani fanciulle,
attratte dal meraviglioso spettacolo di quelle quattro montagne ricche di
frutti e di fiori, si arrampicarono lungo le pendici alberate ed incominciarono
a raccogliere bacche da gustare e fiori per ornare i loro capelli. In quel modo
però le due ignare ragazze violarono quello scenario così attraente e fu così
che all'improvviso le montagne smisero di crescere.
La gente si meravigliò non riuscendo a
capire perchè ciò fosse accaduto. Fu deciso allora di inviare un esploratore
perchè scoprisse la causa di quell'arresto improvviso. Fu scelto Ciclone, il
quale subito si mise in cammino cercando in ogni angolo, finchè non scoprì le
due ragazze e le ricondusse alla gente. Le montagne tuttavia non ripresero a
crescere ed ora sembrava impossibile raggiungere il buco, poichè le vette più
alte si erano arrestate ad una certa distanza da esso. Allora alcuni pensarono
di costruire una scala legando fra loro piume d'aquila, ma quei fragili gradini
si ruppero subito sotto il peso delle persone. Così fu anche per una seconda
scala di piume. Dopo vari fallimenti la gente era triste e scoraggiata. Giunse
allora Bufalo e offrì il suo corno destro affinchè la gente lo utilizzasse come
scala. L'idea era buona, ma un solo corno non bastava. Giunsero allora altri
tre bufali ad offrire le loro corna. Fu possibile costruire così una scala
molto solida, capace di sopportare il peso d'un uomo. La scala, posta sulla
cima del monte, raggiunse l'apertura; così finalmente tutti poterono salire
verso il foro. Ma il peso dell'intera umanità curvò le corna del Bufalo e da
allora i bufali hanno corna ritorte. Intanto tutti gli esseri viventi del sottosuolo
si erano raccolti intorno al buco. Essi non potevano ancora emergere poichè il
mondo era coperto dall'acqua. Quattro burrasche furono allora inviate per
spazzare via le acque dalla terra. Burrasca nera soffiò ad Est, Tempesta
azzurra a Sud, Burrasca gialla ad Ovest e Tempesta scintillante a Nord. Così
nacquero i quattro oceani.
Dopo aver raccolto le acque nelle
quattro direzioni, le burrasche si calmarono e ritornarono nel sottosuolo. Il
mondo era ora libero dalle acque, ma il suolo era ancora umido e melmoso. Il
primo ad uscire fu Puzzola. Appena fu all'esterno le sue gambe sprofondarono
nel fango e divennero nere; e da allora sono rimaste di questo colore. Fu poi
la volta di Castoro. Appena si trovò sul mondo costruì una grande diga e
raccolse tutta l'acqua che ancora si trovava sulla terra, in un grande lago.
Per fare ciò Castoro impiegò molto tempo. Gli uomini raggruppati intorno al
buco non lo videro tornare e inviarono Ciclone a vedere se gli fosse successo
qualcosa. Quando Ciclone incontrò Castoro intento a recuperare l'acqua che si
andava ritirando, dapprima non capì, poi Castoro gli spiegò che quell'acqua
sarebbe servita a dissetare l'umanità. Allora insieme ritornarono al buco della
terra. Ormai il mondo nuovo era completamente asciutto. Tutte le acque erano
state riversate nei quattro oceani e nel grande lago costruito da Castoro. La
gente poteva finalmente venir fuori.
Con grande felicità tutti emersero dal
buco della terra, come bambini partoriti dal ventre di una madre. Tutta
l'umanità venne fuori da lì, i nostri antenati e tutti gli animali. Viaggiarono
verso Est, verso Nord, verso Ovest e verso Sud fino a raggiungere gli oceani, e
durante il viaggio ciascuno scelse il luogo dove vivere.
Da allora sappiamo che la Terra è la
nostra Madre e il Cielo è il nostro Padre. Essi sono marito e moglie e si
prendono cura di noi, loro figli. La terra provvede per noi offrendoci cibo e
frutta e ogni genere di ricchezza che provenie da essa.
Incontro VI - le divinità femminili del pantheon norreno - Racconto
I capelli di Sif
e la bocca di Loki
Preso da quella strana malattia che è
la noia, fonte di tutti i mali e del desiderio di nuove sensazioni, un giorno
Loki catturò Sif, la bella compagna di Thor. Le bionde chiome della
leggiadra signora delle messi stuzzicarono la cattiveria di Loki che, spinto da
una ìrrefrenabile smania, iniziò a tagliarle, incurante delle lacrime che
solcavano il viso della dea. In breve tempo, lavorando con demoniaco impegno, i
bei capelli caddero tutti al suolo, mostrando il triste spettacolo di un cranio
femminile rasato a zero. Contemplando la sua opera, l'infame Loki sghignazzava,
pago della sua gratuita malvagità. La povera Sif, preda dello sconforto più
assoluto, riuscì a liberarsi e, correndo a più non posso, si rifugiò tra le
possenti braccia del marito. Il signore del tuono, al quale Sif, singhiozzando,
aveva raccontato dell'affronto subito, si precipitò ad Asgardh, deciso a farla
finita una volta per tutte con quell'insolente dì Loki. Solo l'abilità
oratorìa, quel suo eloquio mielato, salvarono Loki da una morte orribile:
promise a Thor che si sarebbe recato tra gli Elfi scuri per farsi confezionare
una chioma d'oro del tutto simile, se non più bella, a quella naturale che
aveva Sif. E, forse nel tentativo di ingraziarsi le altre divinità promise che
avrebbe portato altri strabilianti oggetti, dotati di magiche virtù, che non
avrebbero fatto rimpiangere le preziose ciocche da lui recise.
Inabissatosi nei
tortuosi labirinti che conducevano nelle oscure viscere della terra, Loki
giunse nel territorio dei nai da tutti chiamati «figli di Ivaldi» dal nome del
loro progenitore. Ben conoscendo le straordinarie capacità degli Elfi, Loki non
ebbe difficoltà a farsi forgiare una magnifica parrucca di bellissimi fili
d'oro lucente, abbaglianti più del sole. I portentosi artigiani, depositari di
arcaici segreti, gli costruirono anche la nave Skidhbiandnir, vascello di
inestimabile valore che una volta messo in mare, aveva sempre il vento
favorevole, anche se regnava la bonaccia. Inoltre, pronunciando delle formule
magiche, si rimpiccioliva al punto da potersi agevolmente mettere in una tasca.
Ma la strabiliante sapienza dei nani non conosceva limiti: forgiarono anche
Gungnir, una sensazionale lancia capace di affrontare da sola il nemico,
inseguendolo fino a colpirlo senza pietà.
Ormai Loki aveva ricevuto doni
sufficienti a lenire la rabbia degli dèi e poteva tornare nella cittadella
divina. Ma, sempre alla ricerca di nuove occasioni di scommessa, entrò nella
bottega dei fratelli Brokk ed Eitri, due fabbri. Adoperando il suo usuale tono
altezzoso, Loki iniziò a disprezzare il lavoro dei due artigiani, affermando
che non sarebbero mai stati capaci di realizzare tre oggetti paragonabili, per
bellezza e funzione, a quelli che aveva con sé. I due fratelli accettarono la
sfida e si misero al lavoro: Brokk prese una pelle di porco e con cautela, la
pose sulla fucina, raccomandando al fratello di soffiare con il mantice fino al
suo ritorno, senza mai fermarsi, qualsiasi cosa accadesse. Eitri, seguendo le
istruzioni del fratello, manovrava con lena il pesante mantice, mantenendo la
brace ardente. All'improvviso entrò nella bottega, annunciata da un fastidioso
ronzio, una grossa mosca. L'insetto andò a posarsi proprio sulla mano del nano,
disturbando non poco il suo lavoro. Alcuni insinuavano che fu lo stesso Loki,
ricorrendo ad uno dei suoi truffaldini travestimenti, a molestare Eitri,
tentando così di distoglierlo dal compito assegnatogli da Brokk. Difatti
l'insetto punse con forza la mano di Eitri, che però continuò, nonostante il
dolore, a soffiare con il mantice. Giunse allora Brokk che, compiaciuto con il
fratello per la sua abnegazione, tolse il primo prodotto da esibire nella sfida
con il dio: era un magnifico cinghiale, il cui dorso non era ricoperto da
normali setole, ma da sottilissimi fili d'oro. Naturalmente il cinghiale fu
chiamato Cullinbursti, «setole d'oro». Brokk, non dimenticando che dovevano
presentare tre oggetti, si rimise a lavoro. Questa volta, come materiale di
fusione, adoperò dei lingotti d'oro massiccio. Eitri riprese il suo posto al
mantice e prese a far aria con potenza, mentre Brokk uscì dalla bottega
raccomandandogli di non smettere fino al suo ritorno. La solita mosca - insetto
nato per innervosire la gente - iniziò a volteggiare sopra la testa
dell'artigiano e, seguendo un suo preciso piano di disturbo, lo punse sul
collo. Conscio dell'importanza del compito affidatogli, Eitri strinse i denti
e, sopportando un dolore ancora più acuto, continuò fino a quando non vide il
fratello. Poco dopo arrivò Brokk e, costatato che la mosca non aveva
compromesso il lavoro del fratello, estrasse dalla fucina un meraviglioso
anello. L'aureo cerchietto aveva lo strano potere di riprodursi ogni nove notti
in otto esemplari identici come gocce d'acqua: proprio per questo motivo lo chiamarono
Draupnir, «che gocciola». Bisognava fabbricare un altro oggetto, altrettanto
portentoso come i primi due. Brokk, che era la «mente», pose sulla fucina del
ferro e, ancora una volta, rammentò al fratello - il «braccio» - che tutto
sarebbe stato inutile se egli avesse smesso, anche per un solo istante, di
soffiare con il mantice fino al suo ritorno. Inutile dire che la mosca, animata
sicuramente da qualche potenza demoniaca, ricomparve e, ronzando
incessantemente, si avvicinò ad Eitri. L'insetto punse l'indefesso fabbro
proprio su una palpebra e, immediatamente, dei rivoli di sangue gli rigarono il
volto, impedendogli di vedere ciò che stava facendo. Solo allora, e per un
attimo, Eitri tolse una mano dal mantice per cacciar via la mosca. In quell'istante
ritornò Brokk e dicendo che tutto stava per essere rovinato irrimediabilmente
trasse dalla fucina un martello. A causa dell'incidente il martello aveva un
piccolo difetto: il manico era un po' corto. Ma per il resto, che oggetto
eccezionale! Una volta scagliato contro un qualsiasi obiettivo, lo raggiungeva
infallibilmente, riducendolo in minuscoli frantumi. Come se non bastasse,
esaurita la sua missione di distruzione, ritornava nelle mani del lanciatore
come un boomerang. Inoltre, con appositi incantesimi, il martello poteva
diventare tanto piccolo da essere nascosto in una tasca. Arma onnimaciullante,
il martello fu chiamato Mjdlnir ' «che frantuma».
I due nani potevano
considerarsi, e a ragione, orgogliosi di simili prodigiosi prodotti e, confidando
in una sicura vittoria, Brokk si recò nella cittadella divina per confrontarsi
con Loki. Il sacro concilio degli Asi, riunitosi per l'occasione, designò
Odino, Thor e Freyr arbitri supremi della sfida. Loki mostrò i suoi tesori:
donò Gungnir, ad Odino, magnificandone le doti; a Thor consegnò l'aurea
parrucca dicendogli che, una volta poggiata sul cranio di Sif, i filamenti si
sarebbero radicati come veri capelli, crescendo splendenti sempre più; la nave
Skidhbladnir fu consegnata a Freyr e anche questa volta Loki descrisse con
sapiente aggettivazione le doti nascoste del suo dono. I tre oggetti riscossero
l'ammirazione degli dèi che, ammaliati anche dall'eloquenza di Loki, non
riuscivano ad immaginare nulla che potesse soltanto eguagliarne il valore. Fu poi
la volta dell'operoso nano: porse al padre degli dèi l'anello Draupnir,
raccontando la sua eccezionale capacità di autoriproduzione, facendo balenare
davanti agli occhi divini lo spettacolo delle montagne d'oro che se ne potevano
ricavare, pose Mjdìnir nelle mani di Thor, al quale descrisse il fenomenale
potere distruttivo dell'arma, sottolineando che contro di essa nulla avrebbero
potuto i giganti; a Freyr regalò il cinghiale dalle setole d'oro, dicendogli
che avrebbe potuto cavalcarlo sia in cielo che in terra o sulle onde del mare,
anche di notte, perché le sue setole avrebbero illuminato il tragitto,
lasciandosi dietro una scia luccicante che i comuni mortali avrebbero scambiato
per stelle cadenti. La sacra giuria senza esitazioni decretò la vittoria del
fabbro, poiché, dissero, i suoi doni erano preziosi, ma anche utili. Il
rnartello, ad esempio, sarebbe stata l'arma migliore per difenderli
dall'arroganza dei giganti. Infine, come si era soliti fare in quelle
occasioni, condannarono Loki a consegnare la sua testa a Brokk. L'abile
architetto di tante truffe, il signore del sotterfugio, vide andare in frantumi
tutta la sua perfida sapienza: a nulla, infatti, valsero le sue offerte,
formulate ricorrendo a quell'arte della persuasione che più di una volta lo
aveva salvato da simili pericoli. Il fabbro fu irremovibile: a nessun costo
avrebbe rinunciato alla testa di un simile spaccone. A Loki, «vergogna degli
Asi», non restò che ricorrere ad una ignominiosa fuga: calzate magiche scarpe
che gli consentivano di correre sull'acqua e attraverso il cielo, il dio iniziò
una frenetica corsa e, deludendo sia il nano che gli dèi, sparì. Thor, che non
poteva sopportare l'ombra di vigliaccheria piombata sugo dèi, scopri il rifugio
di Loki e lo catturò, consegnandolo subito a Brokk. Protetto dal più forte
degli Asi, l'artigiano si preparava a staccare la testa dei suo sfidante
quando, sottilizzando sul significato letterale delle parole, Loki disse che
poteva fare tutto ciò che voleva della sua testa, ma doveva lasciare intatto il
collo: avevano scommesso la testa, nient'altro che la testa. Di fronte a tanta
sfacciataggine, Brokk non si perse d'animo e, deciso ad umiliarlo fino in
fondo, prese un coltello e dello spago e tentò di forare le labbra di Loki:
voleva cucirgli la bocca, per impedirgli di pronunziare altre parole di sfida o
di disprezzo.
Ma il coltello non tagliava. Il fabbro,
recitando una delle sue segrete formule, fece aprire dal nulla la lesina con
cui erano soliti, lui ed il fratello, forare le pareti. Questa volta le labbra
del dio perdente vennero trafitte con facilità e lo spago potè passre tra i
fori e sigillarle. Loki aveva avuto una giusta punizione: si trattava di un
supplizzio dolorosissimo per lui, abituato a costruire frasi pompose,
compiacendosi al solo loro suono. Purtroppo, poco dopo, Loki riuscì a strappre
i pur forti nodi e, ormai libero, potè continuare ad imbastire tranelli
avvalendosi del suo eloquio forbito.
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