domenica 25 gennaio 2015

Quarto incontro: mitologia Celtica - Chi trova un Leprechaun trova un tesoro (Racconto)


Thory era orfano di padre e di madre e lavorava nelle miniere di Foggy Hill. A lui toccava trasportare il carbone fino ai carri che sostavano fuori dal recinto. Così, con una vecchia carrettina sgangherata, andava tutto il giorno avanti e indietro, sotto il sole o sotto la pioggia, con il caldo o con il freddo, con la schiena piegata, le gambe stanche, le braccia a pezzi. Aveva iniziato quel lavoro da bambino e ora che aveva quindici anni, già non ne poteva più. Pensava che non avrebbe retto a lungo e i suoi compagni di lavoro non gli davano torto perchè Thory era diverso da tutti loro e possedeva qualcosa di speciale. Il suo aspetto era elegante nonostante indossasse vecchi cenci logori e il suo portamento era signorile nonostante le spalle incurvate per la fatica. Sapeva appena leggere e scrivere, ma spendeva tutta la sua misera paga in libri. Ne leggeva in gran quantità, di ogni tipo. Tutte le sere, chiuso nel suo tugurio si stendeva sul pagliericcio e leggeva a lume di candela. Leggendo leggendo, Thory acquisì un mucchio di conoscenze in ogni campo. Si interessò soprattutto di fate e folletti e queste creature divennero suoi migliori amici. Di giorno ne parlava ai suoi colleghi e di sera si rivolgeva a loro in colloqui immaginari. Era affascinato in particolare dai Leprecauni che i suoi libri descrivevano come omini piccoli piccoli che abitavano in casupole nelle radici degli alberi e facevano i ciabattini, anche se fabbricavano solo scarpe sinistre, mentre al piede destro indossavano solo una calza rossa. I Leprecauni erano molto ricchi, ognuno di loro possedeva, nascosta chissà dove, una pentola piena di schegge d’oro. Thory pensò che anche solo qualche scheggia d’oro sarebbe stata sufficiente a comprare una casa, un podere e qualche mucca e a toglierlo così per sempre dalla miseria e dalla miniera. Ma come trovarle, senza un Leprecauno disposto a indicargli il nascondiglio segreto della pentola? Allora si fece prestare una lente d’ingrandimento e adottò un segugio che aveva perso il suo padrone e Iniziò così a perlustrare tutte le foreste della zona centimetro per centimetro. Ogni albero era ispezionato con attenzione, mentre il cane si occupava delle radici, Thory controllava con la lente tutte le fessure della corteccia. Ogni macchia rossa nel sottobosco gli sembrava un cappello e a ogni piccolo rumore credeva di essere vicino alla botteguccia del ciabattino. Nonostante tutti questi sforzi, Thory non trovò niente. Cominciò allora ad uscire nei boschi anche di notte sperando di incontrare i folletti usciti per danzare al chiaro di luna, ma non servì a nulla. Povero Thory! I compagni di miniera pensarono che fosse uscito fuori di senno e lui stesso non trovava più pace. Ma ecco che un giorno, quando meno se l’aspettava, accadde l’incredibile. Come sempre era intento a trasportare la sua carriola avanti e indietro ed era così stanco che camminava come una lumaca e davanti agli occhi aveva sempre i suoi leprecauni e per questo inciampava e sbandava e non ascoltava neanche le voci di chi gli diceva di fare attenzione. A un tratto, tra gli schiamazzi generali, udì una vocina flebile flebile che diceva:- quando ti degnerai di darmi retta? Non ne posso più di tutto questo carbone, finirò per rovinarmi i polmoni e morire in questa carriola se non ti giri! E quando infine si voltò, vide un omino tutto nero di carbone agitarsi nella carriola e stentò a riconoscerlo:- Ma tu chi sei? – Chi sono io? Non ti sono serviti proprio a niente tutti quei libri che hai letto! Mi hai cercato dappertutto e ora che ti sto davanti non mi riconosci? Thory non credeva alle proprie orecchie e per l’emozione gli si attorcigliava la lingua e le parole gli si strozzavano in gola. _ Sì mio caro, sono un Leprecauno e ti cerco da almeno qualche secolo. Le nostre tris-tristrisavole erano sorelle e noi siamo cugini di non so più quale grado! Questo era davvero troppo! Parente di un Leprecauno? Possibile mai? Con mano tremante Thory raccolse l’omino e lasciò la miniera in pieno giorno. Quella faccenda era troppo strana, voleva vederci chiaro. I compagni, osservandolo andar via bianco come un cencio e con in mano un mucchietto di carbone pensarono che fosse ammattito del tutto! E invece… arrivato al tugurio di Thory il Leprecauno si ripulì, si sfamò con un po’ di latte e raccontò al cugino la sua vita e le parentele che li univano. Il folletto si commosse nel vedere in quale miseria vivesse il cugino e senza aspettare che questi parlasse del tesoro , gli disse:- Come sai, ogni Leprecauno possiede un gruzzolo di monete d’oro che gli viene donato poco per volta, di anno in anno, nella notte di Ognissanti. Poiché nelle tue vene scorre sangue fatato, anche tu hai diritto alla tua porzione di oro magico. Quest’anno verrai con me alla radura fatata e ti prenderai ciò che ti spetta. Anche se mancavano solo pochi giorni, a Thory quella notte sembrava non arrivare mai, poi finalmente, la sera della vigilia, il Leprecauno lo condusse nel folto della foresta, nei pressi di un laghetto che si apriva dietro un enorme cespuglio reso ancora più grande dalle tenebre della notte. Era un luogo meraviglioso che Thory, pur conoscendo il bosco come le sue tasche, non aveva mai visto prima. I raggi di luna danzavano sullo splendido specchio d’acqua facendo mille figure con i riflessi argentati, gli uccellini della foresta, assiepati sui rami degli alberi, facevano da musicisti coi loro canti e gli animali convenuti sulla riva si gustavano estasiati le danze. Alla prima pausa, il Leprecauno e Thory fecero tre inchini, avanzarono di tre passi e si chinarono per tre volte a raccogliere nel palmo della mano un po’ d’acqua per lavarsi il viso. Era il rito della purificazione necessario per accedere alla radura incantata la notte successiva. Fatti altri tre inchini, i due si ritirarono e Thory fu sorpreso di vedere dietro di loro una lunga fila di leprecauni in attesa di purificarsi. L’indomani, verso il tramonto, Thory e il folletto attraversarono la strada principale del paese, giunsero alla piazza, presero a destra, a sinistra e poi ancora a destra mentre la strada si faceva sempre più ripida. Alla quarta curva arrivarono a un abbeveratoio che Thory non ricordava di aver mai visto. Bevvero tre sorsi d’acqua e ripresero il cammino, ma da quel punto in poi, Thory proseguì come un sonnambulo dietro le orme del folletto, finchè giunsero a una radura. Qui gli occhi del giovane tornarono ad a aprirsi. Era notte, ma il paesaggio era illuminato a giorno da una luna splendente. Erano circondati da pioppi alti e fruscianti e nel mezzo sorgeva un gigantesco biancospino dai fiori candidi e rilucenti. Il loro profumo attrasse come per magia i due visitatori ai piedi del cespuglio che, chinato un ramo, li accolse nei petali di due corolle. Thory si ritrovò così nel fortino dei leprecauni fatto di tante stanze, tutte splendenti d’oro. Il folletto lo guido al camerino dove c’era il tesoro che lo aspettava da secoli: tre monete d’oro lucenti e grandi come una padella. Thory si chinò per raccogliere il primo pezzo d’oro e quando lo accostò al sacchetto, la moneta si trasformò in una meravigliosa cascata d’oro e lo stesso accadde con le altre due: piovvero così tante schegge d’oro che la saccoccia di Thory dovette dividersi magicamente in almeno altri venti sacchetti e altrettanto magicamente il giovedì riuscì a caricarsi tutto quell’oro e a portarlo fuori. Appena usciti dal biancospino il folletto disse addio al cugino. Doveva rientrare alla sua casina entro mezzanotte per depositare la sua parte d’oro e la strada era lunga e aveva solo pochi minuti, così sparì all’improvviso e Thory si ritrovò solo e spaesato. Eppure, lasciò che i piedi andassero da soli, imbroccò la strada giusta e giunse sano e salvo al suo tugurio che quasi non conteneva tutto quell’oro. Da quel giorno Thory divenne un uomo ricco e stimato e in paese tutti impararono il valore inestimabile della cultura e quanto i libri possano arricchire la vita di un uomo.

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