martedì 18 novembre 2014

I Incontro: La nascita degli dei e i loro racconti

La parola “Mito” deriva dal greco e significa propriamente parola, racconto; sta a indicare la narrazione di particolari gesta compiute da dei, semidei, eroi e mostri. Il mito fu inventato degli uomini per spiegare avvenimenti che da soli e con il ragionamento non potevano spiegarsi: come è nato il mondo? da dove derivano gli uomini? esiste nell'universo qualche essere vivente oltre a noi? e ancora: da dove derivano i fenomeni meteorologici, e l'alternanza delle stagioni? Il mito cerca di rispondere alle grandi domande che gli uomini si pongono tramite un racconto di tipo fantastico
IMPORTANTE!! Ciò che si racconta nei miti non sono fatti avvenuti realmente, ma sono avvenimenti frutto della fantasia degli uomini, esattamente come le fiabe che mamma e papà vi leggono prima di andare a dormire. 

-          La Teogonia (La nascita degli dei maggiori)
All'inizio di tutte le cose, quando ancora il mondo, e l’universo e tutto ciò che oggi esiste ancora non esistevano, vi erano solo tre grandi divinità: Gaia, la terra, Chaos, ed Eros, l’amore. Grazie all'amore, un giorno di mille milioni di anni fa, Gaia e Chaos si unirono, si mescolarono e dalla loro mescolanza nacque Urano, il cielo stellato, che con il suo azzurro mantello avvolgeva Gaia e la stringeva tra le sue braccia. Dal Caos e dalla Terra, l’Amore fece sorgere le alte e verdi montagne popolate dalle creature dei boschi e il profondo e nero mare, la casa di tutti i pesci e di tutte le creature acquatiche leggendarie. Fu la volta di Urano: quando Cielo e Terra si unirono furono creati quegli esseri mitologici e mostruosi che sono i Titani, giganti pericolosissimi, e i Centimani creature che avevano cinquanta teste e cento braccia. Ma non furono gli unici a essere generati: da Gaia e Urano nacque anche Crono, il Tempo. Ma Urano, spaventato e insieme invidioso della potenza che i suoi figli avevano, temeva che un giorno sarebbe stato da loro spodestato dal trono forte e allora decise di rinchiudere tutti i suoi figli nella sua enorme pancia: da lì non sarebbero mai riusciti a fuggire. Gaia disperata cercò aiuto, ma nessun altro dio poteva aiutarla; così cercò di raggiungere i figli e quando trovò in un angolo nascosto Crono gli disse: “devi aiutare i tuoi fratelli Titani e Centimani ad uscire dalla pancia di Urano: solo così sarete liberi e potrete dare vita all'universo. Questo è il vostro destino”. Allora Crono, raccolto tutto il suo coraggio riuscì a tagliare la pancia di Urano e uscirne. Ferito Urano cadde dal cielo fino nelle profonde acque di Oceano e sprofondando il suo corpo produsse una schiuma bellissima e bianchissima, come quella che nasce dalle onde che si rifrangono sulla spiaggia. Dalla spuma del mare nacque la bellissima dea Afrodite, protettrice della bellezza e dell’amore. Liberata tutta la sua famiglia dalla tirannia di Urano, Crono sposò la dea Rea e dai lei ebbe molti figli: Demetra, la dea protettrice dei boschi e della caccia, Poseidone il re dei mari e di tutte le acque, Ade, il dio che governa gli inferi, e Zeus, il più coraggioso e forte di tutti i fratelli. Ma purtroppo anche Crono cominciò a temere la forza dei figli e che un giorno potessero ucciderlo. Così, esattamente come aveva fatto il padre con lui, inghiottì uno ad uno gli dei e li tenne nascosti nella sua pancia. Solo Zeus, ancora in fasce, fu salvato dalla madre Rea. Ella lo portò dalla nonna Gaia e lo face nascondere tra le sue enormi braccia; intanto, per ingannare Crono prese una grande e pesante pietra e lo avvolse con stole e coperte, come se fosse un neonato; porse la pietra a Crono che, scambiandola per il figlio Zeus, la inghiottì in un sol boccone. Gli anni passavano e Zeus cresceva sempre più forte insieme alla nonna Gaia; ben presto gli fu rivelato cosa era accaduto ai suoi fratelli più grandi. Zeus allora realizzò proprio ciò che Crono aveva temuto: combatté contro di lui e vincente liberò i fratelli dalla prigionia a cui erano costretti da anni. I Ciclopi e gli altri dei, felici e grati a Zeus per quello che aveva fatto lo nominarono padre degli dei e gli donarono la folgore fiammeggiante di cui solo lui sarebbe stato padrone. Da quel momento gli dei si stabilirono sotto la guida del possente Zeus sul monte Olimpo e lì vissero governando e popolando la terra.

Orfeo ed Euridice
Orfeo, il più famoso poeta e musicista che la storia abbia mai avuto, che non aveva eguali tra uomini e dei era figlio di Eagro, re della Tracia e della musa. Il Dio Apollo un giorno gli donò una lira e le muse gli insegnarono a usarla: divenne talmente abile nel suonarla che al suo suono persino l’acqua del fiume smetteva di scorre per non fare rumore e disturbare la soave melodia, persino le belve feroci si calmavano e andavano ad ascoltare la dolce musica che Orfeo suonava. Tutte le creature erano innamorate di Orfeo e della sua musica, ma lui aveva occhi per una sola donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride. Presto Orfeo ed Euridice, innamorati, si sposarono. Ma il fato però non aveva previsto per loro un amore duraturo: un giorno la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di lei e cercò di portarla via con sé. La fanciulla, spaventata, per sfuggire alle sue insistenze e di raggiungere il marito Orfeo si mise a correre più veloce che poteva, ma, nella foga, calpestò nell’erba un serpente velenosissimo, che la morse e che purtroppo la uccise. Orfeo, impazzito dal dolore e non riuscendo a concepire la propria vita senza la sua sposa, decise di scendere nell'Ade per cercare di riportarla con sé nel regno dei vivi. Convinse con la sua musica Caronte, in guardiano del fiume dei morti, il traghettatore delle anime verso l’Ade, a portarlo sull'altra riva dello Stige; dopo mille disavventure riuscì finalmente a giungere alla presenza di Ade e Persefone. Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo iniziò a suonare e a cantare la sua disperazione e la sua solitudine: le sue melodie erano così piene di dolore e di disperazione, ma nello stesso tempo bellissime e soavi, che gli stessi signori degli inferi si commossero e gli consentirono di riabbracciare Euridice. Gli fu concesso di riportarla con sé sulla terra, ma ad una sola condizione: durante il tragitto verso casa Orfeo non avrebbe mai dovuto guardare in volto la sua sposa, solo prenderla per mano e, precedendola, condurla sulla terra. Solo una volta giunti alla luce del sole si sarebbero potuti guardare in volto. Orfeo, presa così per mano la sua sposa iniziò il suo cammino verso la luce. Durante il viaggio, però, un sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente pensando di condurre per mano un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta si voltò a guardarla: nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto Euridice, la sua amata svanì nel nulla.

Il mito di Dafne e Apollo
Dafne, figlia e sacerdotessa di Gaia, la Madre Terra, e del fiume, era una giovane ninfa che viveva serena nei boschi. La leggenda Racconta che un giorno Apollo ed Eros discutevano delle proprie bravure e dei propri meriti; Apollo raccontava di essere stato capace, a soli quattro anni, di uccidere con una sola freccia il terribile ed enorme Serpente Pitone. Eros, incredulo, lo prendeva in giro, affermando che nessuno sarebbe stato capace di compiere quelle gesta e che Apollo stava mentendo. Ma Apollo ribatté che era invece Eros stesso a non aver mai compiuto azioni degne di gloria. Così  Il dio dell’amore, profondamente ferito dalle parole di Apollo, volò in cima al monte Parnaso e lì preparò la sua vendetta: prese due frecce, una spuntata e di piombo, destinata a respingere l'amore, che lanciò nel cuore di Dafne, e un'altra ben acuminata e dorata, destinata a far nascere la passione, che scagliò con violenza nel cuore di Apollo. Da quel giorno Apollo iniziò a vagare disperatamente per i boschi alla ricerca della ninfa, perchè era talmente grande l’amore che ardeva nel suo cuore che ogni minuto lontano da lei era una tremenda sofferenza. Alla fine riuscì a trovarla ma Dafne, appena lo vide, scappò impaurita: contro di lei Eros aveva scagliata la freccia che fa respingere l’amore. A nulla valsero le suppliche del dio che gridava il suo amore e le sue origini divine per cercare di impressionare la giovane fanciulla. Dafne, terrorizzata, scappava tra i boschi. Accortasi però che la sua corsa era vana, in quanto Apollo la incalzava sempre più da vicino, invocò la Madre Terra di aiutarla e questa, impietosita dalle richieste della figlia, inziò a rallentare la sua corsa fino a fermarla e contemporaneamente a trasformare il suo corpo: i suoi capelli si mutarono in rami ricchi di foglie; le sue braccia si sollevarono verso il cielo diventando flessibili rami; il suo corpo sinuoso si ricoprì di tenera corteccia; i suoi delicati piedi si tramutarono in robuste radici e il suo delicato volto svaniva tra le fronde dell'albero. Dafne si era trasformata in un leggiadro e forte albero che prese il nome di Lauro.

Il mito di Aracne
Aracne era una fanciulla che viveva a Colofone, nella Lidia, città famosa per le sue belle stoffe color porpora, insieme a suo padre Idmone, un tintore. La fanciulla era conosciuta da tutti gli abitanti della città per la sua abilità nel tessere delle magnifiche tele: venivano considerate da tutti dei doni del cielo e degli dei tanto che erano belle e realistiche. Commercianti e venditori giungevano da ogni angolo della Grecia per ammirare e acquistare le sue magnifiche stoffe. Aracne, consapevole del proprio talento di tessitrice, presa dall'orgoglio e dal successo che riscuoteva, cominciava a divenire impudente, ed un giorno si vantò addirittura di essere più brava della stessa Dea Atena, famosa anche lei per le sue abilità di tessitrice. “Le mie stoffe sono talmente belle, e io talmente brava a tessere che persino la dea Atena, gareggiando con me in bravura, ne uscirebbe sconfitta!”. Udite queste parole Atena si adirò moltissimo: come poteva una comune mortale porsi in competizione con un dio, e inoltre, dichiararsi migliore di esso? Così Atena scese sulla terra e si presentò ad Aracne sotto le spoglie di una vecchia, la quale suggeriva alla giovane Aracne di ritirare la sfida e le parole dirette alla dea, accontentandosi di essere la migliore tessitrice tra gli umani. “La dea Atena non accetterebbe di gareggiare con me perché avrebbe troppo di timore di essere sconfitta”. A queste parole, la dea si rivelò in tutta la sua grandezza e dichiarò aperta la sfida. Una di fronte all'altra Atena e Aracne iniziarono a tessere le loro tele e via via che le matasse si dipanavano apparivano le scene che le stesse avevano deciso di rappresentare: nella tela di Atena erano rappresentate le grandi imprese compiute dalla dea e i poteri divini che le erano propri; Aracne invece, raffigurava gli amori di alcuni dei, le loro colpe e i loro inganni. Quando le tele furono completate e messe l'una di fronte all'altra, Atena dovette ammettere che il lavoro della sua rivale non aveva eguali: i personaggi che erano rappresentati sembrava che balzassero fuori dalla tela per compiere le imprese rappresentate. Atena, non tollerando l'evidente sconfitta, afferrò la tela della rivale riducendola in mille pezzi. Aracne, sconvolta dalla reazione della dea, scappò via, ma Atena la raggiunse e le disse: “se credi di essere addirittura migliore di una dea, e se ami così tanto tessere magnifiche stoffe, io ti condanno a tessere per tutta la vita appesa ai rami degli alberi”. Allora Aracne fu trasformata in un ragno.

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